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Le mie scritture

sabato 9 aprile 2011

Poesie 19

1° novembre

E' l'alba,
cancello solitario
diffonde il sinistro cigolio
nel cimitero dove  riposa
il tempo che fu dei miei.

Cataletti dimenticati
per un disadorno approdo
risaltanti come fosse primavera,
bianche corolle muovono
gli  affusolati petali in anfore di passione,
di anime vive che si mondano.

Piccolo approdo,
sbiadite immagini,
epigrafi  dagli illeggibili segni
confitti nel marmo
di lapidi ingiallite,
che perenni hanno
goduto del canto del venticello
leggero venire dalle selve.

Lo scrosciare impetuoso del fiume
che lì a poco scorre.
Terra sacra,  culla di anime care,
remore di un passato lontano
tante volte dimenticate.

Boscaiolo

L'alba rischiara ,
tutto intorno dipana la nebbia,
su sconnessi prati
tra muschi e licheni.

Avvolto nella giubba,
con in mano un canestro,
va il boscaiolo.

L'aria umida della selva
accompagna il vecchio, 
con il bastone razzola
frasche e rami secchi,
con occhi esperti ondeggia
fra ciuffi di sparage ,
cardi rinsecchiti e castagni caduti.

L'incedere lento
ravvisa le tante primavere
e nel volto restrinto
traspare il rimembro di
quando giovinetto correva,
fra i sacri castagni
in cerca di funghi e raccattar castagne.

Al suono del vespro
caricata la bastina del pesante fardello 
torna tra le accoglienti rughe
dove si innalzano
guglie di fumo che salgono al cielo.

   

Vuota è la mia giara,
coriandoli di canzoni cantate,
scricchiolio di foglie secche
echeggiano come un zufolo lontano
fra solchi di campi arati,
per  sentieri di monti arcani.
Ma rimarrò immobile
all'ombra del muto castagno,
ad ascoltare l'eco del cielo
laddove si ode la melodia del paradiso.
Mi addormenterò  al mormorio
del gioioso  ruscello,
ascolterò  il rimescolar dell'acqua
come fa il giorno con la sorella notte .
Il vento scivolerà senza vedere,
e accarezzerà di me solo un tronco freddo,
di me negherà il nome,
non guarderò nel folto della selva,
nel timor che il rapace intoni il suo grido,
che il volar di una falena
intorbi le fronde del silenzio.
Rimarrò un tronco senza vedere ne capire,
al vento donerò tutto,
a me stringerò i ricordi.

Ti racconterò
Il giorno  che volerò come  l'aquila,
stanco della tarda età
verrò a posarmi sul  grande castagno
a noi tanto caro.
Ti narrò la pandemia  del creato
che tutto ha dissolto in cenere e tenebre
per il gaudio di pochi.
Ti racconterò delle nubi erranti del mattino
il volgere infinito dei tramonti rimasti
ed aspettare sotto il portico l'aurora
che si schiude come
in un incavo fra le fumanti pietraie.
Scaglio i miei dolori 
alle stelle senza cielo,
alla luna spenta,
come foglie ricadono.
Quando giungerai,
forse vedrai prati fioriti
un sole nascente
acque cristalline.
Un'armonia di antiche melodie
sentirai venire dal monte,
una gioia dispersa  sul fondo del mare.

Relitto

Il mio vascello è un'anima vuota
caduta in mare,
un guscio di cocco dove  gabbiani
ingordi hanno saziato il loro appetito.

Solo uno scoglio di dolore,
solo un ondulare di supplizi,
una carcassa  sulla rotta
dell'infinito  mare.

Va senza nocchiero,
alberi senza vele offerti al cielo
come mani giunte in preghiera.

Guardo striature librarsi dalle spume irritate,
venti infausti invadere  la di loro rosa,
e come avvolto da un sudario
non sento e non vedo,

Spezzato il ramo della mia dimora
prego l'innata infanzia del mare
dove giace la giovinezza dei quieti anni.

La giara colma tracima di quello che fù
e la vita declinare in opache fuliggini
in un fluttuare di ali.

Percepisco la pietraia dell'ansia
franarmi  nell'anima.

Correre---correre

La prua della mia nave
ara l'infinità del mare,
correre---correre
sotto l'immenso arco
dell'ultima stagione
fra fumi e odori palpabili,
col pensiero scruto l'orizzonte
alla ricerca della terra 
dove la vita mia  si è persa.

Correre---correre
confidare  nella speranza,
nella di Lui indulgenza
scrutando galassie
negli spazi infiniti.

Nubi all'orizzonte,
velieri maestosi migrano
dove il sole ride,
gabbiani e cormorani radono
il sonno dei fiordi cantati dai venti
scogli memori  del passato.

Ricordami

L'eco delle mie poesie
sole e imploranti,
i baci della tua brezza
le albe d'oro sopra il mio monte.

Illumina il verde giacere delle selve,
il fruscio delle foglie
il silenzio delle faggete
l’emozione dei castagni
intenti  a nascondere la notte.

Dipingi il colore
delle viole abbarbicate
al muschio delle rocce.

Mostrami le nubi erranti
in un cielo arato,
ornanti i vertici delle guglie
cadendo su tenui tramonti,
come fronde e parole mute
portate dal vento.

Cantami la pace
che offre il torrente
cantami la melodia della brezza
fra perenni castagni,
le fronde,
le parole ormai mute.

Strada

Sono giunto sin qui
per in pervie strade
orrendamente violentate dal tempo,
impraticabili acciottolati
su dirompenti baratri.

Scavati nel massiccio del tempo
lunghi cunicoli
dove all'estremo
nasce forse il sole,
strade senza senso,
senza fiori ne aromi.

Silenziose vie inondate
dall'armonia del flauto,
note perse come candele spente dal vento
illuminate dalle stelle.

Dove la notte predilige tristezza
non vi è nessuno,
solo all'alba dopo tanto peregrinare
vedo un uomo di stracci,
dalla lanterna l'ombra strisciante
tende la mano fred
La vecchia volpe

Esci furtiva,
ladra della notte
dalla folta coda rossa,
accoccolata nel manto di velluto,
nel giaciglio di foglie e stecchi secchi
di frasche cadute.
Furtiva ti muovi, ombra della notte,
da un pertugio della tana,
la testa china ad annusar la terra.
Gli occhi stanchi,
dolori che rallentano il passo
ti hanno lasciata sola,
comunque corri,
ma dove corri con le  zampe nel dolore,
sopra un manto di foglie
bagnato di rugiada,
il sole nascosto dal fitto bosco.
Scagliate dalle cime le nubi
tempestano sulla selva
dove ti fermerai,
lungo viottoli infangati
fra alberi rinsecchiti
con la pena che sgorga dalla bocca stanca,
basterà l'orgoglio delle tanti stagioni?
Ladra della notte derubata dalla vita
dov’è la tua tana calda,
ritroverai foglie e rami secchi
di frasche cadute
che profumano di bosco?


Al fresco dei castagni riposo e aspetto,
il vento mi scompone il  grigiore
dei filamenti incanutiti,
cadere fa la vecchia frasca
dove il merlo aveva il nido. 

Il fruscio della selva passa
come i tramonti
dove la sera mi perdevo .

Forse un angelo
intinto di pioggia
mi guarda
sorride e tace.

Osservo le mani stanche
che poso sopra calzoni logori
indicano un punto all'orizzonte
dove è pronta una culla per le soavi poesie.

Accucciato al mio fianco
il tempo del domani,
amico sincero della sera
con lo sguardo fisso all'orizzonte
osserva e aspetta.


Da albero a albero
da frasca a frasca,
dell'ingiallita selva
ricostruiremo il domani,
se credi.

Guarderemo le nuvole pellegrine
volgere oltre le creste nella sera,
ascolteremo le lodi del silenzio
innalzarsi con noi oltre i cuspidi eterni.

Il rumore dei giuramenti che vagabondi
solcano i viottoli del bosco,
al luccichio della rugiada
si nutrono del calore delle pietre.

Pensieri lontani percorrono la mulattiera
ritagliata nella pietra
come mani colme di monili d'oro,
i rami dei castagni accarezzano
il volo degli uccelli.

Dalla mia lode amore,
se credi,
all'alba attingeremo,
ricostruiremo il domani,
se credi.

Il fiume Serchio

Dal masso del vecchio ponte  caduto 
ti ammiro o fiume di ragazzo,
dimentico avevo il tuo nobile nome.

Nascosto dalle vetrici riconosco gli uccelli
ondeggianti sopra acque chete,
col vento bisbiglio agli alti pioppi nella sera
scrutando il tempo immobile sulle rose pietre.

Chiedo all'aria boschiva l'effluvio della sera
al sole  di raccontarmi il tuo cammino.

Appoggiato alla veste del giorno
urlo le mie paure  simili al furore
del disgelo che trasporti.

Pietre riarse infrangono
la lieve corrente in schiume di panna
e l'urlo si placa nell'incedere del fiume.

Più non dimenticherò di te gli odori,
non dimenticherò più le tue frascheze,
non dimenticherò più il tuo nome.
























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