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Le mie scritture

lunedì 11 aprile 2011

Poesie 34

Alla Vergine

Notte beata
riconciliazione
con lo spirito.

Tutto tace,
le fronde,
il vento,
la selva tace,
l’uomo riposa.

Io sveglio.

Dal mio giardino
osservo con occhi vaghi
il cielo azzurro,
fra miriadi stelle
una più brillante,
a Lei offro attenzione.

Non fantastico
il mio animo è indefinito.

Silenzi di pensieri
vagano su soffici nubi,
nell’intimo urla una voce
diletta, bellissima…
mi prono sulla fresca erba 
e prego.

A Valentina  e  Jacopo

Fruscii di sete.
Il vostro spirito
fatto di carezze
contemplato dagli occhi.
Sospiri minuscoli
che si ergono poi maestosi
e giganteschi.
Ai primi chiarori dell’alba
i primi palpiti caldi,
mani giunte
dimostrano indescrivibile unione.
Labbra dolci,
pazza sensazione,
due boccioli schiusi.
Respiro lieve delle selve
come carezza fatta di dolcezza,
morbidi gli animi
come l’aliare di colombe.
L’uno accanto all’altro
gioie della carne ,
gioie dello spirito,
con grande abbraccio
quasi formando un piccolo albero.
Nell’angolo segreto e remoto,
nel sorriso tra le montagne e cielo
e sfumature di azzurro
immersi nell’amore
nasce una nuova vita.
La poesia vola nei cieli,
il canto di gioia invade i cuori,
l’angolo quieto è divenuto
l’angolo della vita!
il sorriso nasce dal profondo
ed esprime beatitudine.
Borgo  a  Mozzano   08 / 07 / 2006

Acqua

Come ambrosia rendi immortale, 
presenza divina
senza vissuto…senza domani
imperituro è il presente.

Paziente nel tempo,
in ambulacri ristretti
consumando congerie primarie
modellando grotte e spelonche
e giù in balze dirupate
in un turbinio di doline.

Ti raccogli in anfore di pietra
invase da aiuole muschiose.

Pia acqua che dalle silvestri fonti
tracimi baciata dal primo sole
in trincee fra foreste, anfratti,
fino al piano…
e fuggi pura.

Corri sotto mantelli verdi
brilli al guizzo sui costoni,
nei laghi dove si riflettono
le montagne che ti hanno concepito
cadenzate da una nenia di sorgenti.

Con turbate movenze
precipiti ondeggiando
in frenetici gorghi,
sopendoti in sciami di pelaghi.

Dal piano un manto di brume
libratasi in infiniti cristalli,
in un turchese che muore
in moltissimi rivoli
allo stormire di serici pioppi.

Le stagioni

In un paradiso di selve
lieve , lieve lo sbocciar di gemme,
si sente leggera la primavera
in una vaga confusione di stelle.

Estate. ho estate,
prati ingialliti dal sole
rondini ciarliere
cicale pettegole per giorni sereni.

Danze di traballanti ballerine
annuncia lo stormir di fronde
l’autunno arriva
con il primo vento freddo.

Tenue, tenue scender di casta neve,
ecco il pesante tabarro
del signor inverno,
sotto al molle mantello si ode
al supplicar d’erba
chinarsi lo stelo.

Nonna Zeffira

Austera e solenne 
ma di rivelata dolcezza
la nonna consumava
l’ultima stagione
seduta sull’impagliata sedia.

Fra il chiaroscuro della cucina
dall’odor del focolare, 
ricordo la fermezza dei suoi occhi
velati del passato.

Come un ponte perituro
dimenticato il tempo,
dissolto quello sguardo
in pertugi nascosti
dove ogni cosa
si compie e si annulla.

Turbato ne, ricordo l’odore,
il pannello in vita,
il fazzoletto in testa a contener
il color ramato dei suoi capelli.

La saggezza matriarcale,
ancora ti penso
quando ancor fanciullo
ti vidi l’ultima sera.

Vecchio

Seduto sulla logora pietra
culla di antiche dolenze
il vecchio vagheggia
di policromi tramonti
in un cielo cerulo.

Occhi di bragia spenta,
movimenti instabili,
strenuo sforzo
di inseguire la danza
di nubi ballerine
per mete lontane.

Uomini insensibili,
frasi enunciate
nel chiaroscuro,
folle soliloquio
suasiva prosa dell’eremo,
solenne supplica,
solfeggio sublime
di indifesa creatura,
nell’abbraccio ultimo
della sorella morte.

La Polletta 2

Mi fermo e ammiro
la fonte ammutolita
un tempo ciarliera,
aiuola felice
dove la sera
si affacciavano le stelle.

Regno di silenzio e ombrosità
erano sovrani i castagni,
riposo per volti stanchi

Il sentimento si nutriva
a quel debole zampillo,
si rasserenava il cuore
all’esile gorgogliare.

Or vedo lo sconforto,
l’incuria mi addolora,
immobile tace
la pila assetata
e l’acqua non zampilla.

Un punto nero
è il pertugio della fonte
il silenzio ne è sovrano
solo i castagni le fanno compagnia,
suprema domina la quiete.

Rare son le passeggiate
il posto è una pietra abbandonata,
foglie secche e tanta incuria
di quella verde oasi
della passata mia primavera.

vorrei recitare dolci lodi
per poterla rianimar
ma incapace di parlare resta muta,
no non sopporto tutto questo
e l’animo mio  si lagna
di tanta tristezza.

Bolognana 2

Pigramente riposi
alla verzura delle selve intorno,
arroccata al pendio
dove l’antica frana deprime
fino a lambire il Serchio
che scorre a valle.

Accarezzata dalla nenia
delle selve
che cingi come diadema,
salda rivolgi lo sguardo al cielo
o mia Bolognana.

Dentro il tuo guscio
di cardo arde la vita,
su per le rughe
in silenzio passa il tempo.

Tu ti addolori
mentre da madre pensi
a quei tanti tuoi figli che
laggiù sotto il monte riposano,
e a quelli lontani
che rimpiangono il passato
e l’amore tuo.

Ti angosci,
con timore gli mandi un bacio
e ansiosamente brami
il loro abbraccio.

Offrimi

Se una sorpresa racchiudi
sotto il tuo scranno
nell’infinita tua nobiltà,
offrimi i pascoli di verzura
che ondeggiano sopra
le selve perenni.

Offrimi
le sfumature della terra
che sradica l’anima al dolore
per smarrirsi in stille di rugiada
nei colori dell’arcobaleno.

Offrimi
paradisi dove nuance arruffate
frangono le vecchie sofferenze
in polvere di stelle.

Offrimi
la strada della serenità
dove invisibili volano
suadenti note
evaporate in brune leggere.

Offrimi
il cantone solitario
dove il male fugge
a nascondere
l’ intricato fardello.

Tu che
accogli il sonno eterno
ospita la mia vita,
la mia morte
nella reggia del cielo.

Offrimi
un’ultima speranza,
indicami la strada
al bivio fra Te e il nulla.

Il giudizio

Quando giunto sarà
il giorno degli addii
e prono dinanzi a Te
mi appresto a raccontarti la mia vita
fa che in cielo infuri la tormenta,
esploda lampi e boati,
implora le flotte degli angeli
di accrescere la tonalità del canto
che martellanti suonino le campane.

Sia che la mia storia riecheggi lontano,
come quando entrai nella tua chiesa
per raccontarti le miei colpe,
aspettavo dirupasse fra le panche
la musica dell’organo a portar via
quello che non volevo sapessi.

Come una fola
con tacitiano ti racconterò
la trama della mia vita,
con un bisbiglio e un gemito
ascolterò il giudizio,
mi accorderai
la grazia della cenere
dove si riflette la luna.




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