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Le mie scritture

lunedì 11 aprile 2011

Poesie Bolognana 3

La Chiesa di Bolognana

Terminato è
il tempo dell’attesa,
oltrepasso l’adito      
del piccolo tempio.

Moccoli consumati
appesi come stalattiti,
aromi bruciati
fragranze del tempo,
immagini annerite
cortecce crepate.

Panche lise dalla preghiera, 
prone invocazioni,
marmi ingialliti e freddi
dal duraturo vissuto.

Ridondano voci
nell’incavo deserto
dell’entità perenne,
serenità trasparente
come acqua sorgiva,
confuso timore
di profanare
la pace del cuore.

Oltre…
si ode un canto.

La vecchia strada di Bolognana

Strada silenziosa e piana
sotto a castagni incavi  
ti celi casta,
al rintoccar del vespro ti fai oscura,
ma al divenir degli aculei alti
sotto le frescure ti riposi.

Sommessa scorri tra radici gobbe,
muschio ingiallito e ciuffi di paleo,
greggi all’alpeggio procedon pigre
al tintinnare degli  stonati bubboli. 

La natura ora  ti conquista,
odori nel vento l’ardore,
dell’uomo la menzogna,
arrivi al guado dove
il ruscello inquieto
fra ciottoli e licheni
sdrucciola via  spossato.

Par si muova per allontanar  tormenti
oh, riuscissi anch’io correre con tal fervore
sui sentieri deserti della vita e…
cessar di serbar ricordo.
Il giorno perisce e
costretto a vita grama
io mi prono.

Sostar bramerei
nelle ciarloni acque,
sereno il tappeto di muschio
e conciliante il fruscio
delle libellule che innalzano
le più suadenti armonie.

La mia chiesetta

Riconosco i rintocchi
dell’avemaria,
la campana
della mia chiesetta.

E’ l’ora del vespro,
un romanza suprema
intonata da
divini arcangeli
l’anima mia invitano.

Il secolare portale
è accostato,
entro,
tendo la mano
nella fredda pila.

Il profumo
impregnato di antico
mi invade,
passo dopo passo procedo
su selciato di marmo ingiallito,
eroso dal tempo.

Mi inginocchio
su logora panca.

Prego…
la serenità è padrona.

Boscaiolo

L'alba rischiara ,
tutto intorno dipana la nebbia,
su sconnessi prati
tra muschi e licheni.

Avvolto nella giubba,
con in mano un canestro,
va il boscaiolo.

L'aria umida della selva
accompagna il vecchio, 
con il bastone razzola
frasche e rami secchi,
con occhi esperti ondeggia
fra ciuffi di sparage ,
cardi rinsecchiti e castagni caduti.

L'incedere lento ravvisa le tante primavere
e nel volto restrinto traspare il rimembro di
quando giovinetto correva, fra i sacri castagni
in cerca di funghi e a raccattar le bacole.

Al suono del vespro
caricata la bastina del pesante fardello 
torna tra le accoglienti rughe
dove si innalzano
guglie di fumo che salgono al cielo.


L'eco delle mie poesie
sole e imploranti,
i baci della tua brezza
le albe d'oro sopra il mio monte.

Illumina il verde giacere delle selve,
il fruscio delle foglie
il silenzio delle faggete
l’emozione dei castagni
intenti  a nascondere la notte.

Dipingi il colore
delle viole abbarbicate
al muschio delle rocce.

Mostrami le nubi erranti
in un cielo arato,
ornanti i vertici delle guglie
cadendo su tenui tramonti,
come fronde e parole mute
portate dal vento.

Cantami la pace
che offre il torrente
cantami la melodia della brezza
fra perenni castagni,
le fronde,
le parole ormai mute.

L'attesa

Al fresco dei castagni riposo e aspetto,
il vento mi scompone il  grigiore
dei filamenti incanutiti,
cadere fa la vecchia frasca
dove il merlo aveva il nido. 

Il fruscio della selva passa
come i tramonti
dove la sera mi perdevo .

Forse un angelo
intinto di pioggia
mi guarda
sorride e tace.

Osservo le mani stanche
che poso sopra calzoni logori
indicano un punto all'orizzonte
dove è pronta una culla per le soavi poesie.

Accucciato al mio fianco
il tempo del domani,
amico sincero della sera
con lo sguardo fisso all'orizzonte
osserva e aspetta.

Il fiume Serchio

Dal masso del vecchio ponte vecchio 
ti ammiro o fiume di ragazzo,
dimentico avevo il tuo nobile nome.

Nascosto dalle vetrici riconosco gli uccelli
ondeggianti sopra acque chete,
col vento bisbiglio agli alti pioppi nella sera
scrutando il tempo immobile sulle rose pietre.

Chiedo all'aria boschiva l'effluvio della sera
al sole  di raccontarmi il tuo cammino.

Appoggiato alla veste del giorno
urlo le mie paure  simili al furore
del disgelo che trasporti.

Pietre riarse infrangono
la lieve corrente in schiume di panna
e l'urlo si placa nell'incedere del fiume.

Più non dimenticherò di te gli odori,
non dimenticherò più le tue frascheze,
non dimenticherò più il tuo nome.

Bolognana  ( infanzia )

Silente paesello ,
appeso tra il monte e il fiume
sereno come la selva,
tramite te sorge l'ardire delle mie prose.
Protettivo e mite,
feudo dei miei adolescenti passatempi
ti presenti nello svolazzare delle fronde,
e dalle rughe serenate di folletti e gnomi .
Offuscate memorie incise su pietre e cantoni, 
si sottomisero ai miei baccani, 
alle sirene degli affanni.
Nel frusciare di Eolo privo di dimora,
un sogno di ragazzo,
memorie di intime emozioni,
amici saldi nell’affetto
laddove  la primavera fioriva,
l’aurora è un vago concetto dell’incedere.
Ora soffocato da tristi pene
con occhiata furtiva mi rivedo giovinetto.
Tranquillo paesello,
a te pongo le brume del crepuscolo
e le lusinghe dei giorni.

Il noce abbattuto

Possente noce
alla maniera di un fiero guerriero
nell’ora del vespro sei crollato
chinando la chioma.
Non fu l’affilata scure
ma il virile turbine
a svellere la tua grandezza
maestoso fusto umiliato in un istante.
Nell’orto una tristezza diffusa
l’ermo prode è abbattuto
passeranno primavere 
ma non per lui.
Non più
fruscianti farfalle,
giocondi ricoveri di uccelli,
lambite frasche da soffici piume, 
infinità di api
sciamanti fra i rami.
Stille di ragia sui filamenti spezzati ,
la chioma  assopita fra fiori di campo.
Maestoso noce
pervaso di tanta nobiltà,
da fiero guerriero sei crollato al tramonto.
La brezza ora sussurra la tua prosa.
ma tu non ascolti la sua poesia.

Son tornato Bolognana

Inaridita è la mia bisaccia,
pochi avanzi di poesie anonime,
cocci di luna e di sassi
si ripetono come campanelle
al dimenar del capo dei muli stanchi, 
su i sentieri del monte.

Mi fermerò qui
sotto le mute altane,
dinanzi al cadente uscio,
su quella pietra sedevo privo di malizia,
mi fermerò lungo la strada della gora
dove l’acqua porta via l’acqua,
come fa il tramonto col giorno
e il  giorno con la notte.

Terrò al collo la bisaccia,
basteranno i nidi delle rondini
sotto gli archi  delle umide rughe,
basterà il sole fra i castagni,
il fumo del camino
per dirti che sono tornato.

I Necci di nonna Zeffira

Abbigliata di lunghe gonne,
capelli rossastri,
il viso scialbo,
imponente il fisico,
la nonna Zeffira.

Un ricordo lontano
nelle brume delle stagioni.

Vivevo con Lei
e di lei rammento l’odore,
la tenerezza,
i necci con la ricotta
e il latte con il formaggio,
eran gran bontà
fatti con amore.

Rivedo la casa nella ruga,
il cigliere,
la scala di legno,
e risento il freddo dell’inverno,
nostalgie gorgogliano
invadendo la mente.

Tutto è rimasto lì,
non più gli affetti,
lontani in cielo stanno,
a me diletta ricordare
la tavola coi necci
e il latte con il formaggio.

Ne gusto l’apparenza viva.

Il vecchi metato

Ammassi di pietre,
pareti diroccate,
si aprono fra ciocchi
ricoperti di muschio
e erba alta.

Le cupole verdi
dei grandi castagni,
ornate di sera
dall’aliare dei passeri.

Mi animo al primo sole,
al garrire degli uccelli,
e alla frescura della sera.

Dal piano si sentono
distanti i rintocchi
del vespro,
è vicina la notte.






Visto dalla chiesa

Rintocca l’ora il campanile
dell’antica chiesa,
ornata da lise pietre
e campi verdi.

Colori di tavolozza
tra le brume della sera
portano lembi di vento.

Seduto su una pietra,
osservo il sacrato della chiesa,
zeppo di memorie di bambino.

Oltre la siepe
cataste di legna
tagliate di fresco.

Oltre gli umidi tetti
le cime dei monti
confitte nel cielo
rossiccio della sera.

Mi prende pian piano  
l’incantato fascino
del mio paese amato.

Autunno sul monte

Questa notte in cielo
ho lasciato agli angeli
a pascere le stelle.

La sera dense caligini
si stendono ammantando
il piano.

Sul monte ammassi
di nuvole si adagiano
grevi.

Intorno le selve
si sono vestite,
dell’abito a tinte pallide
dell’autunno.

Dai castagni
ondeggiando pendono
pigre le fronde
pensando all’estate.

Passeggiata tra i ricordi

Ho camminato nella sera
per vecchi sentieri
graditi al tempo mio fanciullo.

Mucchi di aride fronde
sul sentiero polveroso,
crocchiano leggere
al muovere dei passi.

Castagni ignudi alzano in cielo
propaggini rinsecchite,
secolari tronchi ricoperti
di verde muschio
e bisce d’edera.

Oltre il colle aperto
il sole sprofonda rosso
in un abisso di nebbia.

L’animo mio furtivo
ascolta e gode
l’abbraccio lieve.

Prosegue il cammino
sino al piccolo cimitero,
e appare adagio la malinconia
epitaffi ingialliti,
di cari che oggi non son più.

In gara

Questa sera le luci di Bolognana
sfidano in contesa le stelle,
ma il cielo coperto
non ci porge
la solita fiaccolata.

Brandelli di scure nubi
appesi in cielo,
il paese punteggiato di bagliori                              
tinge il tramonto di rosso.

La luna d’argento velata,
ornata da un’aureola vaga,
non capisco,
poiché tanto mi  attrae
il calar del sole.

Forse il tempo che passa
brama nascondere i timori
implorando una novella alba.

La nevicata

Dall’altana mi inebrio
dello spettacolo dinanzi,
la valle si spalanca
ammantata di neve.

Vestita di bianco inverno
soppianta lo spettacolo
di seducenti colori.

Il colle, il monte, il piano
li scopri uniti, uniti,
il cielo offre
un oltremare d’incanto.

Il vento freddo bacia l’inverno
e le fronde sepolte da tanta purezza
offrono riflessioni lenenti.

Avvolto di incanto e tale grazia
procedo col pensiero
su praterie di pace.

Il metato 2

Sul pianoro del monte
tappezzato di cardi
di fulvo spinati
il metato di pietra giace.

Solitario e muto testimone
del prodigioso alternarsi
delle stagioni.

In su… oltre le pietraie
esalano nebbie bianche
e rendono vane le cime.

Ma il sole bacia il pianoro
e la brezza ci sfiora vaga.

Il freddo arriva
e il metato si veste
di neve e di ghiaccio.

La selva geme alla tormenta,
quando un mattino
si dipana il tepore del sole.

Tutto si rinnova
solo il metato
diroccato e solo
langue silenzioso.  

Sulla Pania

All’or del vespro
tuoni e fulmini
sul Pizzo delle Saette,
dal pianoro della Pania
fremiti di panico
mi invadono,
folate di neve fredda
frustano il rifugio.

Da una fessura
della parete rocciosa
si muove un frullo
e plana leggera un Poiana,
si muove, si sposta e  
lesta riappare
con qualcosa nel becco.

Incessante cade la neve,
l’amore non ha timori
l’amore prevale.

Le Mondine

Seduto sul suo sgabello
ad un angolo della strada,
poveri abiti a coprire
l’infreddolito corpo
sta il caldarrostaio.

Rimesta e rimesta
fra fumo e odori
di bosco bruciato
nel braciere
colmo di castagne.

Uno dentro l’altro
coni di carta gialla,
intorno clienti frettolosi
ragazzi, bambini,
amanti del frutto regale.

Intorno al desco fumante
la sera corre veloce
fra cartocci di mondine.

Bolognana d’autunno

Folate di aria fredda
nella carezza della sera.

Trepidanti silhouette
di piante inaridite,
file di arbusti,
dalla querce
al muretto traballante.

Come lanterne… le stelle
fan capolino sopra il paese,
pregevole poesia
per tanta tenerezza.

Si dolgono
lacrime di rugiada
i peri nell’orto.

Un tabarro di fronde
sul pascolo umido,
falde rosse
fra gli arbusti rinsecchiti.

Il margine della strada
abbruna
al sole incerto,
nel ricordo vermiglio
di papaveri spenti.




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