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Le mie scritture

lunedì 11 aprile 2011

Poesie 32

Tu fanciullo

Rimani fanciullo,
lontano dalla delizia
dei sentimenti e degli orrori,
incline a custodire ricordi,
impronte di incanti
su immagini sbiadite
in un album di fotografie.

Siediti a fiutare
l’odore dolce e
lieve del fieno,
della selva,
dei fiordalisi appena nati,
dell’aria del mattino.

E’ il gusto vellutato
della tua fanciullezza,
dei giorni,
delle notti -di tormenta,
di una sconfinata freschezza
dell’autunno fiorente
di fronde morte.

Non infrangere il tuo io
con l’ululare di una sirena,
hai sabbia rovente
nella clessidra della vita,
giare colme di stelle
sopra il tuo cielo.

Ricordi di Bolognana

Vago è il ricordo delle antiche storie
quando bambino mia madre mi narrava
della tua gente e come tribolava…
fra le umide rughe impregnate di vita.   

Indefinibile stagione ora vivi
fra nuove luci e le quotidiane pietre,
tra residenze sconosciute
eppur fra muri antichi
tra sussulti nuovi  e verdi castagni.

Anche se perduto hai il tuo dialetto
sento ancor fra le amate rughe  
l’odore di piatti sobri,
di antichi sapori.

Al tempo in cui sulle grigie pietre
si addormentan  immagini vaghe,
dal Serchio la sfuggevole acqua
racconta del tempo lontano.

Addio agli amici

Un di d’autunno piovigginava  
sui fianchi rocciosi,
su desolati pascoli
sull’altana abbandonata,
sui campi coltivati
e pur sui deliri miei il ciel gemea.

Triste è l’abbandono dai luoghi di fanciullo
delle ragazzate innocenti, dei sogni vaghi,
caro paese di spensierata libertà
dove avevo percepito i miei ideali.

Gocce minute spruzzano
su silenziosi occhi
addio amici,
compari di istanti perduti.

Dalle selve parean le piante porgermi il saluto,
salì dal piano su un venticello lieve
l’odor di borracina  e di terra umida.

Ascolto

Sono seduto
in prossimità del bosco,
la sua serenità io assaporo,
con occhi silenziosi
ascolto l’aliare del falchetto,
il pigolare di un nido,
un picchiar di scure.

Nella pace in tal maniera io vivo
e le mie riflessioni
corrono oltre il colle.

Nasconderei il tempo
dentro un castagno vuoto,
ma la realtà si schiude
ai baccani del vento.

Devo andare
la realtà mi attende
nasce la nuova vita.
in prossimità della selva

Dove son nato

Si rincorrono come orme
i filari dei pioppi,
svaniscono senza fine  
dove scompare il fiume.

Le chiome dei castagni
roccaforti di questi territori,      
pane per il domani.

Di tanto in tanto terrazze di pianori
intravedi avvinghiate sui dolci clivi
terra di allusiva fertilità.

Nuda terra che offre misurati frutti
terra grigia di montagna
di ogni anfratto e dei folti boschi.

Dal basso il piano domina
dove si frastagliano le giogaie,
nel verde intenso opere musive,
casolari e metati.

Il manto di vegetazione
è un sentimento di pace
che rallegra l’aria di questa terra.

Chiesette e metati avvolti di fresco,
all’or del vespro al calar del crepuscolo
proteggono le preghiene della montagna.

Quando ritorno

Con passi svelti
rivedo la mia anima
ripercorrere i sentieri
nel bosco della gioventù.

Rivedo antichi ruscelli
dove al guado saltavo le sponde,
o il grosso castagno da aggirare.

Come la nebbia la gioventù
col trascorrere del tempo
si addentrava nel mio corpo.

Ghermiva la mia persona:
la libertà del falco,
l’agilità della rondine,
la furbizia della volpe.

Imparavano le mie labbra
a comunicare con il mondo,
ascoltare l’eco della vita.

Si impadronivano i mie occhi
delle bellezze del mondo,
la mente a meditar sull’uomo.

E come canestri si riempivano
di incombenze le mie spalle,
e tutto fu si  un costante rinnovo
dei miei immaturi anni.

Rio forcone

Allor proni
passavate il tempo
per capir la morte,
accettavate il pensiero
poiché nessun possa trattare
con quel che è immenso,
tanto immenso che scinde
al profondo giudizio.

Un giorno di freddo novembre
giunse con insolenti fauci,
latrando vi trovò
l’avida morte,
quel giorno tradì la notte.

Si frantumarono
le sommerse gallerie,
le vostre suppliche,
i pianti convulsi,
le abbattute volte
fra labirinti impervi.

Il baccanale dell’acqua,
vostra assassina
le buie catacombe,
pregne della vostra vita,
riscattavano in voi
il sacrilegio della loro eternità.

Nelle ghiaie riposano
ruvidi volti
ricchi del tempo passato,
ricce chiome
dalle sensazioni agri di un’età
da i sentori acerbi di anni perduti.

Un ugual sorte
sorelle tenebre fuggiasche
da conchiglie morte.

La sull’ermo colle
sgombri dalla madre roccia
silenti stanno
a rimirar l’ultima strada.

La pietraia

Prati di pietre,
colli di pietre,
aratri di pietre
dissodano il monte
nubi silenziose e torve
accarezzano il cielo.

Le spoglie guglie,
richiamo dell’incanto errante
fra terra e cielo,
fra me e Dio.

Sulle cime l’aliare del vento recita:
non bramar  la cima impervia
non oltraggiare la sincera amante
alcova sublime per la mia follia.

Emozionante palcoscenico
di pietre con pietre,
ingiusto sforzo,
esseri affascinati
da pietraie affascinanti.

Sterilità immorale
come se corrotta,
che porge inasprita prosa
a frammentati alpeggi,
confusi e lontani
fra costiere di pietra
loro regina e pur amante.

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