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Le mie scritture

sabato 9 aprile 2011

Poesie 30

Ritorno a casa

Nel grigiore del mio paese
intravedo solo i contorni delle rughe
incartate dalle selve,
semitoni sfumati
di vegetazione novella,                                               
delicato ventre d’angelo.

Muretti  sgretolati,
ruderi taciti
di vecchi metati,
sull’aia il pozzo
dal bordo segnato 
dal tempo.

Pietre scolpite,
avanzi del molino
un tempo odoroso di farine,
sguardo affascinato
sulle cime solcate da rimanenti
gole nevose.

Arabeschi  di riverbero
rubati al cristallo del torrente,
che piano fantastica tra i sassi.

La mia contorta anima
alla terra silente,
coperta di muschio
dai petali felpati,
in eterno commiato
che nelle rughe nasconde
ricordi vaghi di gioventù.

Due pini

Oltre il colle
dove a pascer va l’armento,
un uomo dai modi scabri
pose due pini.

Stornellò il vento di maggio,
tuonarono tormente e bufere
s’imbiancarono di soffici fiocchi
ma misero radici.

Affilati cuspidi si chinavano,
lievi brusii donati al cielo,
frasche a dimora di nidi
fra l’eco dei tramonti lucenti,
il vento confidente di ansie
nella notte stellata.

Il giorno esaltava la luce
fra stormi di passeri
e variopinte farfalle,
imperava  la festa.

Ma quel dì di tormenta
sprezzante un pino abbatté,
nel fremente pianto
il solitario albero
invocò il creato,
pregò il vento,
innalzando un lamento,
per me…
quanto tempo ancora?

P.G.

Per te sarò …
il cardo che si piega,
l’effluvio che si disperde,
la roccia che cade,
il ghiaccio che si scioglie,
un tronco abbattuto.

Nel tempo senza tempo
nel tuo eccelso amore
aiutami o Signore,
che di me si espanda…..

Il bocciolo che fiorisce
lo scrigno che si apre
il boccale pieno
il balsamo del piacere
la pianta che cresce
il fiore che colora
il profumo che si spande.

Il germoglio che
assurge alla vita.

Te

Da una coppa o bevuto
il dolce e aspro vino della vita.

Grazie o mio Signore,
aiutami,
non lasciarmi derelitto,
dammi la forza di volare.

Aliare  vorrei
nell’infinito azzurro,
nei sogni delle nubi
bramo l’approdo,
indica all’anima mia
la via del tuo regno.

Prono a Te chiuderò
le bianche ali,
lassù in alto…
lassù in alto…
nel silenzio stellare.

Agosto 2006

E venne il dì d’agosto,
del castano maturano i cardi,
profumano al vento i fiori.

Vagito di novella vita
esalta nella cuna,
si diffonde e risale al celo
da cantori cherubini.

Note di violini arcani
degli arcangeli gioiosi, 
nel color della  Diana 
la luce del mattino.

Accanto alla culla
vestito di candido velo,
il suo angelo custode,
con fil di voce
enuncia a mamma e papà
ecco un nuovo cherubino…
il  vostro bambino.

Dalle mie fronde

Dal mio albero un dì di maggio
schiudesti il tuo fiore
al mite sole,
fra fremiti e emozioni.

Sulla fronda più alta
ti posasti lieta,
e con me tremasti alla prima brezza,
fra il venticello il profumo della selva
e il garrire della rondine.

Son volate stagioni in fiore,
e agghiacciati inverni,
ma restavi accoccolata
alla fronda mia,
che ti stringeva a se
con timoroso affetto.

Con me restasti
a cogliere l’aurora aulente
e il calar del sole nella calura,
le notti tarde
fra turbini e tormente.

Allorché novella spiga,
maturasti al sol radioso,
divina dea fra aride fronde
fruscianti al vento.

Adesso te ne vai
dall’incanutito albero,
dai nidi vuoti,
dalla frasca,
che riparata cuna
piange dolci primavere.

Corri per immensi prati
e timorosa porti
il frutto del tuo fiore
da posar su nuove frasche.

Albero mio che stormisci
e sereno riposi appagato,
reciti al vento melodiose prose,
lodi alla figlia mia.

Segni

Cantami o amico
la primitiva speranza
con aria benevola.

Dal cuore trasuda
l’eco della poesia,
e avventa l’immenso
d’immagini sbiadite.

Rivivo novelle antiche
che da valli e poggi aprichi
si sfrondano al tempo che vissi.

Ondeggiano le note
in questa volta azzurra,
un dolce bisbiglio
al batter d’ali.

Calma è l’aria,
pacato il rimpianto,
dal rifugio di ricordi
io seguo la mia strada.

Inseguo la mia romanza
con l’ansimare del vento
nel dolce abbandono.

La mia reggia

Isolata reggia
addossata alla sommità del monte,
religioso riposo,
agreste gioia
della primaria esistenza.

Abbandonare l’anima,
garrire di rondini
dal primitivo rifugio,
leggiadre colombe,
cicale ciarlone,
frescure che si spingono
dalla selva.

Dardi d’oro sulle fronde
di castagni eterni,
ascolto il silenzio
ora vivace
ora quieto.

Riposare ai nuovi venti
cancellare il passato
oggi è la bella stagione.

Dai poggi corre l’acqua nel fosso
concerti di violini
dolci melodie
tempo appagato.

Ciottoli

Sei  il vento selvaggio,
sei figlio della tormenta
sei padre della tempesta,
e solo il tuonare del tempo
porrà fine alla tua vita.

Forse in quel momento
il tuo veliero
gonfio di brezza
navigherà ancora
per rotte inesplorate.

Oltre il colle
colmo di caligini
il male si è presentato
al tuo cospetto.

L’inconsueta serenità
non pone una crepa
sulla tua via,
attendi il nuovo giorno
con indomita costanza
per un fradicio corpo.

Pregare… si.... pregare,
oh destino avaro
miserie doni,
ciottoli sul  tragitto
che imprigiona la vita.

Sul molo

Una cascata di stelle
per una notte di fiaba.

Sul  pontile si espande
il frangersi delle onde
sulle chiglie  dormenti,
ansima il mare prose taciute.

L’ estasi mi rende
padrone del mondo,
tormentati pensieri
scritti nel vento.    

Folle mi sento
nel creare verbo,
solingo  bramo,
quello stormir di vele
che fuggono lontane,
solco mari alla ricerca
di strofe perdute.

Assopito nell’apatia riposo
dove l’approdo tace,
come posso credere
che tutto torna.
Viandante

Sicuro và il mio veliero,
ha arato burrasche e bufere,
la paura dei temporali,
l’ululare dei venti,
il nero degli abissi,
temerario avanza a prora,
sciaborda e infrange la spuma,
nel cielo terso della vita.

Desto...sulla porta
nel far del giorno,
oltre il crepuscolo
vedo garrire al vento
il drappo del mio orgoglio.

Perché fuggire
quando la gerla colma
d’amore ti appare.

Ramingo pellegrino
sazio sei della mia ambrosia,
bevuto hai alla mia fonte,
narra ad altri
quel che è di me.

Dal colle

Nel tramonto sparso
dei profumi della calura,
ammiro giù nella valle,
e m’innamoro
di superba bellezza.

Al confine della selva
pigro scompare il giorno,
tornano i merli al nido
raccontano storie di luoghi fatati.

Il falco plana sull’antica quercia
in un vagare di volpi notturne,
nella verzura oscura
tutto bisbiglia e tutto tace.    

Al sussurrar di fole,
di folletti e gnomi
vive la selva un sogno
 nell’attesa del domani.

La selva

Innamorato di te
ti offro questi versi
e inseguo il tuo corpo di terra.

Amo la frescura e il respiro
allo scrosciar della cascata,
trasparente e  immersa
frastagliata di gemme assolate.

Le piane verdi e selvagge
i metati di un tempo,
dove amanti sperduti
si ritrovavano nel rubino
delle labbra.

Un fruscio armonioso
si diffonde nell’aria,
amo  il verde alone dei castagni,
il cinguettio incessante,
i solitari sentieri nascosti.

Amo il tuo colle
illuminato d’argento,
nelle tranquille notti
il fruscio delle fronde
i furtivi movimenti silvestri. 

E vagabonde civette
lusingano cadenti castani,
le tarde serate colme di stelle
e un tramonto color di bragia.

La strada

Imprigionato nel silenzio della selva,
sotto le frasche stormenti dei castagni
dove dardi di luce
cadevano sbiechi.

Dormii nella silente frescura,
gioii del canto del passero,
padrone della mia estasi
superai prati,
baratri,
colline.

Capii la destinazione del mio vagare
e mi lascia sedurre dalla congiura
di spesse brume  e di eterne armonie.

Al risveglio da tale incanto
immenso fu lo stupore,
indefinibile affanno
invase il mio delirio.

Conoscevo la mia strada
tortuosa ed erta
fino ai confini dell’attesa,
e nell’irraggiungibile abisso
la convinzione ebbi
che giunto era
il temuto momento.

I miei figli

Giunsero nella mia casa
come splendidi omaggi
del Signore.

All’orche bussarono alla porta,
tranquillo, ero assorto,
e confuso vagavo lontano
dove i sogni
di infinite sfumature
inseguono i desideri.

Qui siamo e ti facciamo dono
del riflesso azzurro del cielo
della rugiada che
accarezza le foglie.

Vibrazioni di violini
invasero il mio corpo,
perché tanto incanto
per avere il loro cuore…
indugiai impaurito.

Figli che avete bussato
in posti sconosciuti
per cercare la mia casa,
la felicità infinita
è giunta sulla mia spiaggia
e colora di arcobaleno
i sentieri del cielo.

Figli di verdi primavere
resterete,
il vostro amore per me
rimarrà intramontabile,
nella giara della vita.

Antico amore

Solenne cantore,
immenso e nascosto
è il tuo respiro armonico,
sopra le tue verdi chiome
lentamente riflette la luna.

Solenne cantore,
perenne,
dai primitivi colli
si perdono gli amori
dove tramonta il sole.

Sui verdi prati
si specchiano tremanti
le stelle nella notte.

Tu sei chi
un dì mi fece innamorare
e come allora ti amo,
ansioso bramo
la tenue primavera
la nostra nuova vita.

O solenne cantore
l’armonia e il ritmo
della tua terra
è l’incanto del cielo.

Affascinato corro nei tuoi meandri
e mi cullo sul manto soffice del muschio,
sostare e riposare
sotto un castagno antico.

Al dì di settembre si sente nell’aria
il mesto morire dell’estate,
di luna in luna arriva ottobre
e si spenge il pianto dell’ultimo sole.

Come una rondine

Sotto la vecchia gronda
saetta l’ultimo saluto della rondine,
la nebbia ha avvolto il casolare,
invaso l’altana
e sulla valle la bruma
assopisce solitaria.

Il bosco rinsecchito e attento
chiama il vecchio rondone  al volo,
porta e dona
l’ultimo tuo squittio.

Indimenticabili traiettorie
al nascer del giorno,
fra grondaie e terrazze
fra le rughe e il piano,
i timori del bosco,
ma con ciò incessante è…
un volo romito.

Capire di voler amare,
bere,
cibarsi,
vivere di lei
e fuggire con le sue ali.

Desiderare nell’intimo
un monile di corallo
per colei dei miei sogni,
indifferente non tenere le ali,
solitario mi stacco dalla gronda
nel mistero del tramonto.

Pier Giorgio

Questo mondo di te,
appena si avverte,
mai una stilla di pianto
segni i tuoi occhi,
ma solo il tepore
di luminose primavere,
dei sentieri del vento,
del profumo dei boschi,
l’amore del tuo angelo custode.

La tua nascita  ha rinnovato
dolorosi e gioiosi ricordi,
di spersa fanciullezza,
percepibile espressione di bimbo
amadriade silenziosa.

Con passo lieve
sei entrato nella mia vita,
riposi nel mio cuore
e sommergi di piacere
il mio essere,
e mi accompagni nello straripante
mondo di realtà smarrite.

Con te nasce l’odore,
la bellezza delle rose,
che fioriscono e si bramano
come il primo tuo giorno di vita.

Mai una stilla di pianto…ma…
intensa felicità,
l’amore,
un fremito sul corpo,
la lusinga di un mio bacio

Solo per te

Fai di me il tuo
faro all’orizzonte,
accudirò con gioia
l’erba del prato
dove tu passeggerai.

Per te stenderò tappeti
di petali colorati
ricolmi di tenerezze
tra i frutti in fiore.

Al chiaro della luna,
al respirare del vento,
smanioso di baciar la tua fronte
ti addormenterò
nella tua calda cuna.

Piccolo angelo,
il tuo profumo novello
affascina,
e la passione
fa sprizzare
il battito del cuore.

Lei

L’uragano ulula
tra le vigne risecche
dal nettare agro,
tra il colore smeraldo del bosco
scrosci freddi
inzuppano il cuore.

Da deliranti nubi
fulmini lucenti
si inseguono impazziti,
il boato corre nelle forre
della ragione,
vaporizzati ricordi
si perdono sulle pietraie.

Irritato e afflitto
pensai che la tempesta fosse
complice del destino
per derubarmi del mio volere.

Nel cupo tramonto
ora  freddo,
ora indefinito,
vedo passare le mie disfatte,
gli inganni che la vita
mi ha donato…
malinconiche fole
della sorte.

Il mio scrigno
rubato da gnomi insolenti,
portato dal colle al monte
dal pianoro alla burrone,
colmo del mio pianto
rotolò nel dirupo.

Non ricorderò le mie sventure
lei mi ricompenserà
di tali sofferenze.

Svegliati

Zitta… ombra che vaghi nella notte
non intrometterti,
nessuno mi presta attenzione,
vagabondo del cielo.

Zitto… artista dei tormenti
delle angosce,
della rara allegria,
dei sogni caduti dalla rupe.

Zitto… o fiume che placido scendi,
vento che muovi le fronde,
castagno ombroso dove sublime
chioccola il merlo.

Zitto…o villano è l’alba e
già stille di fatica bagnano la terra,
ara il campo,
taglia le messe,
ti perdi fra distese di spighe,
per una inutile fatica.

Zitto…ciarliero oratore,
acre verbo dell’inganno
mentre il tuo veliero
ara placidi mari.

Zitta…illusoria figura
che nutri la finzione,
per la morte del cuore.

Zitto…uomo di paglia
per la freddezza del tuo io
non vestirai mani sporche.

Svegliati…oh svegliati
non esitare!
laddove l’onestà,
la ragione,
sono offese
tu sei complice
come tutti noi.

Zitto…

L’armonia del bosco

Oblii grevi nascondono
i passi che coprono i viottoli sassosi,
e invadono il verde delle selve
dove si nascondono antiche memorie,
vecchi castagni bugi
saldi tra le pietre,
incantevoli pitture primitive.

Un zufolo divino delizia
canzoni e danze sacrali           
dove rinascono fole occulte
sulla realtà dell’uomo,
sulle sue preoccupazioni
che vagabondano nella magia
espressiva di frasche e fronde
di primule e muschio.

Come le note del vento
tra le braccia stese dei castagni
dall’umore  incantato,
valenti nel rivivere
le confusioni amorose
delle passate primavere.

Sfumature immaginarie
si mischiano a visioni
e cose certe,
melodiose poesie
che convivono
col passare del tempo.

Molteplicità di suoni 


Le polifonie delle selve che
mischiano cadenze continue
come note che volano
fra nubi erranti.

Pianti che si ergono
dalla terra a Dio
e suscitano grazia
passioni,
bellezza
e lacrime di luce.

Cantico onirico
fra visioni inespresse,
lievi e tenui laude
che nascono al tramonto
sulla terra delle polifoniche selve.

Aquila

Il volteggiare immobile
di aquila… ascolta,
lo scroscio della cascata
tra la quiete del bosco.

Castagni come forme rocciose
custodiscono il rifugio del rapace,
odora la bruma,
che si inerpica dal piano
tra le rughe e i muretti
del paese
color dei miei anni.

Le rughe di Bolognana

Rughe zeppe d’oscurità,
di dolenze primigeni
che accompagnano
persone e amici
giorno dopo giorno
per tutta la vita. 

Angoli brevi,
sguardi cavi e stanchi
di duro lavoro
poca gioia e tanto silenzio.

L’organo della chiesa suona
soavità malinconiche,
intense e angoscianti,
note di vecchie origini
che vengono da tempi perduti,
il cuore esprime affetti
angosciosi, emozioni,
ciò nonostante concupite.

Dalla ruga l’odore del pane
e le note dell’organo
raccontano fole vespertine
di folletti  e angeli
di una terra grama.

Amara e splendida
come il fiume che l’accarezza
o come sonnecchianti alture
o il respiro del vento
compiaciuto dall’armonia silvestre.

Le incertezze

Paralleli filari di pioppi
a corolla della via
raccontano dei lontani meriggi
tessuti  nel dolore,
del conoscere la tristezza
dopo lo svanire di miraggi.

Debole la genialità
minacciata  dalle paure,
apparenze che sbattono
su un muro pietroso.

Vago è il rimestar
fra cocci e brandelli
e riscoprir l’arcano
della vita,
il canto del cuore
il sorriso di un figlio.

Fermarsi nell’atrio della coscienza
fra note nascoste,
domande di nani fuggevoli
cos’è il piacere, il male,
il sentimento o lo sconforto
il volare di una farfalla
o il candore della neve.

Al rinascere del giorno
dalla giara della serenità
l’animo si perderà
al pianto di un bambino.

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