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Le mie scritture

lunedì 11 aprile 2011

Poesie 33

La strada di fondovalle

Come una biscia si snoda
fra fiume e monti
dove corrono eserciti stanchi,
cannoni che tuonano
pericolo per chi si arrischia provocarla
con il palio della vita.

Da quassù ti vedo
sminuendo l’emozionante incanto
della romantica vallata
spegnendone le libere eufonie
dell’assoluta pace
degli antichi richiami.

Squarciati i monti per incastrarti
fra pietrosi costoni domati
dall’avvilente reclusorio
di freddi reticolati.

Sotto pastelli di cielo
le verdi selve
i suoi snaturati confini
già patiscono l’aridità,
diffondersi di fetide esalazioni.

Uomo, la smania ti trascina
l’incessante fermento
ti sottomette,
sfidi il futuro
con l’angoscia avida d’imperio.

Ma nel tuo domani
come te che smani
lente vanno le stagioni,
osservano e indugiano
sull’ultime speranze
rendano onesto valutar
la ragione della tua sorte.

La cascina nel bosco

Quiete sulla casa del bosco
immersa fra i castagni
al rimembrar dei nati,
dei morti, di chi se ne andato.

Stalle inaridite
del fertile procreare
di muggiti, di urla
nudi giacigli aspettano gli armenti
da tempo fuggiti.

Il piccolo laghetto
nascosto fra rocce gemelle
ricorda di animali pasciuti,
lo scorrere d’acque rilassanti
in cavità di pietra,
rivoli pacati
immutabili scrutano il cielo.

Pigre acque cristalline
che tacciono lascive
un disagio sterile
sotto velate angosce.

Franate cataste di ciocchi
sotto un tetto di grigie lastre d’ardesia,
viti ingobbite e pampini rinsecchiti
si concedono a uno sterile sole
per una perduta carezza.

Il rudere

Tracce indefinite fra musive selve,
sensuali abbracci di soleggiati recinti
anonime forme di indefiniti artisti
creati nelle notti dei tempi.

Rovine che sanno d’antico,
dominanti muretti color ferrigno
di un sereno futuro,
un vincolo tra presente e passato.

Fra ieri e oggi
distinte opere
diedero grazia a dimesse fatiche
e radiosi ammassi di pietra
si accesero al calore di fuggiasche estati

Spunta da guglie cadenti
di un vecchio abituro
un remoto castano,  
si appoggia all’altana
solleva le ruvidi frasche
ostenta frutti
pungenti e maturi
che nessuno più raccoglie.

Cimitero di montagna

La ghiaiosa via fende
assillanti lembi
di mattonata terra
abusati dal sole,
e tu solatio rimani,
in te la vita si ferma
ogni gioia perisce.

Le tue cinta scolpite
nella grigia roccia di monte
le spoglie che nascondi,
in trincee gelide  di silenzio
dove creano inquietudini e angosce
e nella meditazione ogni forza
penetra le ingiallite lapidi
dove riposa l’alba con il tramonto.

I pensieri percorrono le vie del vento
rincorsi da scenari di sgomento
raccolgo il desiderio di vita,
sulla pelle arata dal tempo
ribelli le mie riflessioni aspettano
vessilli sconosciuti per cui lottare,
il tempo assale le sensazioni vive
le sue braccia  mollemente cedono
alla forza del tempo.

Mi specchio

Serchio che mi vedesti fanciullo           
sulla riva mi fermo
e ascolto il tuo canto.

Acqua che raccogli in cielo
e ci specchi mosaici di selve
io mi prono
libera amica che vai.

Vedo in te un’ombra traballante
che non conosco,
sento la mia voce insolita
che non comprendo.

Il fascino del vento ti accarezza
senza sfumare l’onda,
indosso a me la sua ingiuria
minaccia il suo castigo.

Lucente amica, osserva il ventre mio molle
scompiglia le tue onde
prendimi,
fa che io abbracci il mio corpo
per elevarmi, per elevarti.

Incaglierò la mia pena
sul fondo tuo seno
col fremito dell’infinito diletto,
sopra lo specchio azzurro
obliqui cerchi si estendano
fino a dissolversi lontano.

Desiderio di amare,
incanto di poesia,
ingordo mio nettare
scuoti  il genio della mia pazzia.

La polletta

Un dì tornai
inseguendo la tua voce
lungo la via maestra
e ti scorsi solitaria e affranta
o mia povera fonte.

Sorgente dei giorni spensierati 
come scultura nelle fresche sere
delle profumate primavere,
ora scivoli fra felci e muschio
e ansimando piangi.

Rimpiangi feste chiassose
gli amici paghi di poco piacere
di merende sui prati
delle tue gradevoli acque,
cose nuove, nuova vita,
decisero il tuo abbandono.

E’ ricomparsa un’altra primavera
e ti scopro abbandonata,
ricoperta di un tabarro di pietre
un lieve zampillo argentato
si sottrae dal tuo grembo.

Ti saluto amica polletta
tardo è il mio giorno
ma, cosa sarai per colui che si fermerà
il tuo corpo più canta, più disseta,
non potrai ricordare
le feste disordinate di noi
che ti eravamo amici.

Non potranno sentire gli schiamazzi
della gioventù
essa e sepolta viva
si agita  nell’incavo
di quel tabarro di pietra













L’abbandono

Il mio pensiero
è giunto al tramonto
e logori i miei calzari
dopo tanto vagare,
senza tante angosce
osservo e non mi addoloro.

Non mi addoloro su tumuli ornati
di ghirlande dalle fresche sfumature
non mi angoscio
di chi vive nella memoria.

Mi addolorano l’anime nelle fosse spoglie,
sepolture abbattute
dove da terra sacra
affiorano aggobbite radici
che traggono linfa
per le natie gemme.

O malinconici pioppi
le melodie del vento piangono
attristite note sulla dura terra
dei solitari avelli.

Nella mia preghiera invoco
si presenti un refolo di grazia
a dissipare l’abbandono,
e dopo… e dopo…

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