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Le mie scritture

lunedì 11 aprile 2011

Poesie Bolognana 2

La selva

Innamorato di te
ti offro questi versi
e inseguo il tuo corpo di terra.

Amo la frescura e il respiro
allo scrosciar della cascata,
trasparente e  immersa
frastagliata di gemme assolate.

Le piane verdi e selvagge
i metati di un tempo,
dove amanti sperduti
si ritrovavano nel rubino
delle labbra.

Un fruscio armonioso
si diffonde nell’aria,
amo  il verde alone dei castagni,
il cinguettio incessante,
i solitari sentieri nascosti.

Amo il tuo colle
illuminato d’argento,
nelle tranquille notti
il fruscio delle fronde
i furtivi movimenti silvestri. 

E vagabonde civette
lusingano cadenti castani,
le tarde serate colme di stelle
e un tramonto color di bragia.

Le rughe di Bolognana

Rughe zeppe d’oscurità,
di dolenze primigeni
che accompagnano
persone e amici
giorno dopo giorno
per tutta la vita. 

Angoli brevi,
sguardi cavi e stanchi
di duro lavoro
poca gioia e tanto silenzio.

L’organo della chiesa suona
soavità malinconiche,
intense e angoscianti,
note di vecchie origini
che vengono da tempi perduti,
il cuore esprime affetti
angosciosi, emozioni,
ciò nonostante concupite.

Dalla ruga l’odore del pane
e le note dell’organo
raccontano fole vespertine
di folletti  e angeli
di una terra grama.

Amara e splendida
come il fiume che l’accarezza
o come sonnecchianti alture
o il respiro del vento
compiaciuto dall’armonia silvestre.

Ritornar bambino

Oh giovinezza di tante primavere
con l’odore delle selve ricompari
e l’animo mio ne gode
dell’aria alpestre
nei ricordi vaghi e pur sinceri. 

Braccia graffiate
e stinchi scorticati, 
guance screpolate dal vento diaccio…
calzoni sdruciti ,
e ginocchia nere,
ingenui anni dove si crede alla befana
e le menzogne cosi sincere.

Adesso son remoti gli gnomi e i maghi
e il dolce sapore delle fole,
ora fantastichiamo altri passatempi
l’avidi vizi sono i concetti prediletti.

Oggi non più guance screpolate,
ginocchia graffiate,
il viso sporco,
calzoni sdruciti e giubba con le toppe
ma le parole si… false e insincere.

Con gioia andrei a ritroso
dal mio viaggio
col viso sporco,
i calzoni sdruciti
e le toppe sulla giubba  
per ritornar bambino.

Le rughe d’inverno

Malinconico camminar
su per la vecchia ruga
invasa da moventi  brume
aulenti di pane,
del fumo dei ceppi accesi.

Dallo stabbio un mesto belare,
da una stalla il muggire delle mucche,
dall’altana lo strillo di un bimbo,
lontano il pianto della sirena.

Coperta dal un tabarro
un’ombra se ne và furtiva,
risalgo l’erto lastricato ingrigito e
mi allieto dei vetri appannati
schiariti dai bagliori dei camini.

Dal segreto della selva
giunge il lamento della civetta,
dal piccolo campanile
i rintocchi dell’or di notte.

E’ l’ora della preghiera,
è l’ora della famiglia
or giunto all’atrio di casa…entro…
la  serenità mi assale.

Il vecchio metato

Nell’oscurità dei vetusti castani
distaccata da murici e siepi
fra fronde silenziose riposa.

Mattoni consumati dal tempo,
sopra la mulattiera al monte
par si mostri saldo e fiero il metato.

Quel capanno,
concio del remoto tempo,
a te che passi
concede riparo nell’ora tarda.

In un cantone una bastina sdrucita,
al muro gli attrezzi della terra,
e sopra la porta qualcosa di arrugginito
di singolare foggia,
una strana forma,
forse… un ferro di cavallo….

Una lanterna,
una madia e una data su una pietra,
uno sgabello  zoppicante,
un camino,         
ecco avvampa un ciocco
e li continua la vita.

Ritorno a Bolognana

Da sempre
pigramente arroccata
dalla Chiesa alla Borella
e fin nel luogo ove
crescono i castani.

Le nude guglie scudi al vento
di erte montagne,
dai boschi alle selve
e giù sino al paese
dove è forte l’odore
delle umide rughe.

Passato è il tempo
dell’ora di ragazzo
la tua grazia, il tuo silenzio
non tramontano
forte e arroccata
or deserta, ora fredda, or serena.

Dimenticata e semplice
aulente ti proni,
mesta e sola
il tuo corpo di pietra rinasce al tempo.

Scenari di verde ti sovrastano,
sono pensieri che volano,
fra le pietrose case
nel loro essere di eterna giovinezza
si aggira la serenità di una vecchia poesia.

Suoni sordi, suoni di quiete,
quassù i suoni rimangono veri
è l’antico sentimento dell’amore.

Resti qui pigramente arroccata
ma il tuo donare anche se molle
permane a richiamar l’animo mio,
fra la frescura di fronde
e dai pascoli aprichi.

Bolognana 1

Tranquilla e solenne sorgi
dalle selve che ti circondano,
con l’esultanza pigra
dalle gole boschive,
pianori di frescure
dove pungente
cresce il cardo.

E dilaghi al piano
dove maestoso corre il fiume
che evade fra pioppi
e sassi levigati,   
nel recinto azzurro
fra monti e celo.

Dall’antica chiesa
il tocco della campana,  
l’ora del vespro
richiama gli scomparsi figli.

Inseguo nella memoria
gli anfratti più celati
della tua poesia,
verso quale luogo
di nuda grandezza,
di primitive rocce
il sonno dei miei morti.

Eremo dei Colomini

All’or che l’aurora
l’esitante bruma esala,
dalla roccia che… par si erga
il cenobio arroccato,
l’Eremo della mia infanzia
ove mia madre      
solea condurmi pellegrino 
a pregare la Madonna.  

Su questo luogo
al calar del sera
si raccolgono le stelle
ad offrire lodi
alla biancheggiante luna,
che su queste rupi
spalma del suo riflesso
l’umile  roccia.

I muli

Punge il freddo in un’aria tersa
involta dal verde della selva
su per l’irta mulattiera,
la stalla ormai è lontana.

E’ la prima alba
si affretta il mulattiere
lo sguardo è nobile e tenace
ha l’aspetto di un fiero combattente.

Il corpo marchiato dalla lotta,
perenne, senza sosta, è lo scontro
che fatica sfamare una famiglia.

 Sul sentiero pietroso
d’acqua, neve, e di sole
dei muli in fila legati dalle briglie
con le some vuote e corde ciondoloni.

Grigi, marroni, e mal ridotti
negli occhi la fatica,
stanchi di ragliare
pazienti tengono dietro
e passo dopo passo
con lo scalfir di pietre
pigramente salgono.

Ricordo del mio fiume

La travolgente acqua
che al piano tracimavi,
di nulla avevi cura
e sull’onda tenevi l’angoscia,
dirompevi fra pioppi e ponticelli,
danneggiavi sponde tormentavi rive
e parei sorridere laddove conoscevi il mare.

Lungo il perenne viaggio
ti mostravi come una gobba e vecchia strega
con piglio irascibile,
dall’indole biliosa.

Ma in primavera tutto taceva
e la tua acqua rimembrava bimbi e fanciulle
dissetava armenti e ali svolazzanti
e con grazia scendevi frizzante dall’irto monte,
sbocciava la vita fra pietre e felci,
acqua nuova,
acqua di sorgente.

La Borella

Splendida e armoniosa,
sinuosa nel barlume che la stringe
nella sua semplicità emerge.

La sua consueta forza
nel tendersi torreggiante
verso le vette apriche,
e sovrana è del piano.

D’altri tempi,
ed ove
nella naturale purezza
riposano vecchi sogni.

Nella lenta serata appare…
come un simulacro di pietra
nato dalla selva.

Dimenticata nobiltà,
salda riposa
nell’eco mormorio del vento.

Su per la selva

In alto
nelle selve
tra castagni e abeti al cielo.

Poi sconnessi viottoli
su per diletti colli
e aulenti pascoli.

A  vagabondar
sotto appuntite frasche
fermandomi mi abbandono.

A volte
nella selva, errante
vado spiando
verità di fede nascoste.

Su per sentieri erbosi
e metati
ancor riposi,
quasi silenti.

Il gorgogliar dell’intima fonte,
lo sprizzare dell’acqua
che da sempre festosa
dal cuore cretoso sorge.

Con le ali del pensiero
una preghiera spicca il volo
e alta va in cerca di Te.


Fuggire

Fuggendo ho vagato
su irti dirupi
dove la montagna nasconde
la notte oscura.

E fuggir tuttora
per provare
precipitose  attese
al chiaroscuro
di un vecchio metato.

Non scopro oltre,
che leggende scavate
dal fluire dell’acqua
nel verdazzurro della selva.

Oh terra mia
di muschi e licheni
dove i sogni
concepiscono e distruggono
moralità e corruzione.

Tu cinta
di smaniose figure
io nello sbuffo
flebile dell’istante.

Come il castagno

Alla maniera
del vetusto castagno
dal profondo
dell’amara terra
mi imbevo di aspro cibo.

E spoglio
al termine ultimo
di tante primavere
reclino i miei artigli
al volo delle falene.

Ma se nell’informe
intrico lacerato
ancora c’è linfa
germoglierà altra vita.

In me corroso nell’intimo
dal soffio freddo
di tramontana
felpato va
il cammino  nella sera.

La casa sul monte

Lassù nella selva
fra spazzi immensi
mi avvierò col ritmo del vento,
con un bagaglio
colmo di speranze,
costruirò la mia dimora
con sassi e tronchi,
per parete un castagno bugio.

Al centro accenderò un fuoco,
potrà scaldarsi l’animo mio,
i pensieri ascolteranno
il loro silenzio.

Ad ogni cantone fiori di bosco
di poca vita e
passeggero il loro profumo.

A serbar ricordo del tempo
un piccolo ritratto di un amore,
senza disprezzo e vani ricordi
ma solo lodi alla natura,
agli artigli della luna nella sera,
a chi mi indicò
la strada della vita.

Zio Bruno

Percepii gli angeli volare
sul tuo cataletto di pace.
          
Nel tremolio dei pensieri
ti intravidi chino,
sulla panca dall’odore antico.

Attorno le braccia tese dei santi
proni su di te per amore eterno.

Traboccava l’aria…
di salmi,
di luci,
di pianti…
di serenità dopo infinito male.

Breve è la strada
dell’ultima dimora,
ricamata di grigio
e dalla tue amate selve.

Osservavo oltre il cancello
il vialetto  dei morti,
fiammelle accese intorno al buio.

Ricongiungiti
nel cantone perso del ricordo,
riavvicinati all’arcaica
purezza delle tue montagne.

Nel luogo in cui tutto  
è immutato nel suo splendore
e non ha importanza
se sono rocce o tante stelle.

Il castagno caduto

Contorte  frasche riarse
si dolgono di smarriti giorni,
turbini bugiardi invocano
tristi memorie.

Passato il tempo delle verdi frange
picchia la tormenta sui vetri della vita
e garrule note in culle
colme di soffici piume.

Ultimata è l’armonia
di dolci musiche,
sugli artigli rugosi e cullanti
più si ostentano ali in volo,
su fronde fruscianti
nuove di verdezza
compongono altrove i cinguettii,

Ultimate  gioiose armonie,
intonazioni nell’aria del mattino
dai tuoi rami si alzano
lassù all’Assoluto,
adesso rigido adagiato ti proni.

Le nostalgie ti porti
dei nidi che cullavi
e i primitivi gemiti
delle natie creature alate.

Quando una sera all’or del vespro
un fragore bruto
ti ha scosso alla radice,
gridavi nel cielo scuro
la tua poesia al vento
e mesto cadevi.

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