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Le mie scritture

sabato 9 aprile 2011

Poesie 23


Bocciolo

Come un bocciolo
cresceva la novella
e aspettava
che sbocciasse
nel giardino dell’eden.

Dopo lo coglieva
come dono alla prigionia
del cuore.

Fantasticava primavere future
oblio amato e dedicato
a quella novella.

Un sereno paesello,
il suo essere ingiuriato
dall’incedere brutale
di forme, rumori, spasimi.

Come un bocciolo
cresceva la novella                                                                                        
e fantasticava
di morire nel
ciel dell’eden.

Fiume

Bagliori  danzanti,
guizzanti,
sfumati al sorgere del giorno
sussulti  dolcemente nel vento
procreando minuscoli frangenti.

In seguito riconquisti
la calma
al cessare del vento,
ti adorni di luce soffusa
al calar della notte
in un brunir d’oro violento.

Trascini tra sponde declinanti
odori di muschio,
di selve antiche,
previsioni
di angoscianti destini.

Guerriero

Difenderò e onorerò
ogni istante, ogni frammento
della vostra vita,
eredi di questa società
sarò vostro padre solo
nell’avversa sorte,
nel male, nelle lotte,
nelle violenze, nelle menzogne.
Al di sopra di uno scoglio
dove l’onda precaria sbatte
il nicchio, tavole corrose
sogni infranti  
abbandonati ai marosi,
il planare dell’airone,
il tepore sottile del sole.
Vi difenderò, vi onorerò
all’insaputa di loro
vermi affamati
viandanti avidi di carcame
predatori di culture,
di memorie
della nostra civiltà
d’inganni
d’illusioni e omelie religiose.
Voi nobili spettatori
della presente realtà
della triste esaltazione,
vivrò  in vostra difesa
goccia tra le gocce.

Confida

Nella fossa del passato
poni a dimora la tua pianta,
adesso,
a sessant’anni…

Coltivala con amore
non per i figli ma…
per osservarla fiorire,
per confidare nella vita
soprattutto nella tua.

Filamenti

Sopra  filamenti tesi al vento
gli anziani appendono ritagli di sole
con l’ansia di sempre
di non vedere
un cielo stellato
che invochi il domani.


Cardini

Ti affido i cardini
della tua esistenza.

Con cipiglio afferrala
cosciente ch’ogni attimo
di indipendenza conquistata
camminerà verso la libertà.

Prego

Pregando ti inseguo,
nascosto dalle fronde,
vello stracciato
dalle onde.

Trascorse primavere
viviamo come vuoti  riflessi
presenti al pallore della luna
dimenticati nell’uggia del giorno.

Sui rigagnoli delle mani
come delta del fiume
ha navigato la nostra esistenza
approdi sicuri,
approdi incerti.

Ora ti canto
il silenzio della poesia,
di prose fiorite,
barlumi di tenerezze
voci silenti come stelle.

Ti spegnevi

Ti recitavo la vita
e ti spegnevi,
accennando un sorriso
sfiorando lieve il mio viso.

Ti spegnevi
come un tramonto d’autunno
cupo e offuscato il cielo
confine tra terra e mare.

Ti recitavo la vita
ti spegnevi
con gli occhi di bragia rovente
smarriti nell’incubo del giorno.

Ti spegnevi
come le frasche della selva
nelle sere d’autunno,
l’esitare di un’opera muta
tra la cantilena del vento.

Ti recitavo la vita
ti spegnevi
l’aspetto da ragazza
scia armoniosa di una cometa
i rintocchi del vespro
lo sgranare del rosario
tra le sottili dita, simili all’avorio
triste la cerimonia istante.

Zitti

Sarà pazzia?
segui la risacca
siedi sulla sabbia bagnata
aspetta l’onda del perdono.

Sarà pazzia?
portami su nubi sciamanti
raccontami l’infinito del mare
spiegami l’amore

Sarà pazzia?
nascondiamo il male
copriamolo con
i colori del cielo
una carezza al bambino
un saluto all’amico
impariamo a nuotare
nell’onda del perdono.


Sarà pazzia?
silenzio….
restiamo immobili,
zitti…zitti…zitti.

Cosa fai

Cosa fai…
giovane figlio,
la vita come il fresco ruscello,
deciso a superare la selva
che ti conduce al monte.

Cosa fai…
hai il tempo della primavera
l’imprudenza della gioventù
campi da arare,
spighe da raccogliere.

Cosa fai…
profumato fiore di ginestra
fiorita al tepore del sole,
nella luce tenue
di una luna appena accesa.

Cosa fai…
figlio ammaliato
dalle novelle
delle ingannevoli stelle.

Raccogli

Raccogli
a levante il manto della luna,              
rincorre le nubi                                                       
e le colora di grigio.                         
                                                                      
Raccogli
il mormorio del paradiso,                           
dove angeli chiassosi                                   
fan festa al Signore.                                    

Raccogli                                                         
i colori del cielo,                   
paiono filati di seta
adagiati sui prati.                                                    

Raccogli                                                       
le melodie delle selve,                                              
nel tempo dell’amore
dove tutto tace,                                
tutto avvampa.                       

La Chiesa di Bolognana

Terminato è
il tempo dell’attesa,
oltrepasso l’adito      
del piccolo tempio.

Moccoli consumati
appesi come stalattiti,
aromi bruciati
fragranze del tempo,
immagini annerite
cortecce crepate.

Panche lise dalla preghiera, 
prone invocazioni,
marmi ingialliti e freddi
dal duraturo vissuto.

Ridondano voci
nell’incavo deserto
dell’entità perenne,
serenità trasparente
come acqua sorgiva,
confuso timore
di profanare
la pace del cuore.

Oltre…
si ode un canto.

Appagato

Fragranza di  muschio amaro,
fronde di castagno
stappate dal vento
adagiate come stuoie.

Castagni,
vecchi contadini
saldi alla campagna,
innalzano chiome  frondose
di costante vigore

Protetti da rame
si mostrano i cardi
spinosi e tondi
al mo di seni innocenti.

Accoccolato
nell’aurea di spruzzi
di sole che setacciano
la densa bruma,
io vivo sereno
istanti appaganti di vita.

Seduto sul muretto

Abbandonato  al pigolio
delle alate lanterne
mi copro di fumana
e di frescura.

Mi adagio nella quiete,
assente è il domani
alito sommesso,
un’aureola di stelle.

Nella bisaccia conservo
una corretta vita
un corpo offeso,
come spighe d’oro
offro per poca pace.

Si effonde dalla fresca selva
il richiamo della civetta,
è un appello ai miei sensi,
sono vivo,
vivo…

Talamonaccio

Su dirupante colle
sta la cadente dimora,
par si levi
da saldi scogli
dove sbatte l’onda
spumeggiante e sfumata

I marosi
di azzurro cupo
al ritorno alla risacca
si sbiadiscono,
tra l’acqua e la terra
l’arenile conserva
quello che
l’onda ha donato.

Oltre la salsedine
l’incolto verde,
corolle bionde e
stoppie di 
dalla casa odori e
vision di turchese,
verde e oro.

Chi è?

L’ho vista
al suonar del vespro
quando all’orizzonte
sfuma al grigio
e l’opra è terminata.

Il crepuscolo del mattino
e l’afa del giorno
eran trascorsi
spengendo il sole
e la sua calura.

Stretta teneva una
bricolla colma di
amare stille
e poca felicità.

Priva di volontà
vagheggiava triste
nella nebbiosa luce,
come ispiratrice affranta.

Si aggirava per anfratti
con pensieri umiliati,
se frugava nelle
appassite ombre
scorgeva il costante pianto
e sprizzi  di sorrisi scordati.

Corro

Corro a ritroso
per vie dove il tempo
fu vincitore.

Quanti risvegli
e quanti notti insonni,
ad onta del primo albore
ed a ogni calar del sole
l’inconsueta pena.

Osservo come sedotto
dal racemo delle  ginestre,
reminiscenze tradite
consegnatemi al delirio,
al crepuscolo del mattino.

Permettete prima il dissipare
dei rintocchi dell’AveMaria.

La strada

Strada silenziosa e piana
sotto a castagni incavi  
ti celi casta,
al rintoccar del vespro ti fai oscura,
ma al divenir degli aculei alti
sotto le frescure ti riposi.

Sommessa scorri tra radici gobbe,
muschio ingiallito e ciuffi di paleo,
greggi all’alpeggio procedon pigre
al tintinnare degli  stonati bubboli. 

La natura ora  ti conquista,
odori nel vento l’ardore,
dell’uomo la menzogna,
arrivi al guado dove
il ruscello inquieto
fra ciottoli e licheni
sdrucciola via  spossato.

Par si muova per allontanar  tormenti
oh, riuscissi anch’io correre con tal fervore
sui sentieri deserti della vita e…
cessar di serbar ricordo.
Il giorno perisce e
costretto a vita grama
io mi prono.

Sostar bramerei
nelle ciarloni acque,
sereno il tappeto di muschio
e conciliante il fruscio
delle libellule che innalzano
la più suadente delle armonie.

Preghi

Prona ti vedo
e a mani giunte preghi,
dimessamente accetti
lo scuro giorno
che illuminò il dramma.

Tu così,
superbamente tronfia
agonizzavi violentata
dall’opera della vita.

Concedendo chinata
l’esile corpo
allo strazio del cilicio,
ancora preghi per
nutrire la speranza
di rifiorire e
ancora assaporar la gioia.

Rosario

Il tempo a consumato
i torniti grani
della mia corona.
Madreperla ingiallita
strappata da spoglie mani
di colei che la vita mi dedicò.

Corona come arma
dove l’anima aiutò
il corpo che si arrendeva
Ogni grano una sosta
nel dolore della consumata carne
quando l’artiglio carpì
il corpo vano
la spoglia mano strinse la sua croce.

Questa corona è il tuo pensiero
e quando lo accarezzo  sembra
di sentire il tuo calore.
Giunta sarà la mia notte
stringerò questa croce
per la necessaria forza.

Verrò da te sulle cime innevate
io con te come al primo pianto
con te nella serenità del paradiso
Giù il baratro,
su di noi l’arco celeste
tutto intorno
la pace avvolta di luce 
della perenne neve. 

Io sono l’amore

Se amore è felicità
io vivo l’amore.
Se amore è angoscia
io vivo l’amore.   

Il mio cuore
è un tempio
che accoglie
fra candide sete
colme ampolle
di felicità e di dolore,
di gelosia e di sentimento.
Sul sacro altare
della vita arde l’amore
che la passione sgorga.
             
Alzo quel boccale,
mi disseto e stregato di te
io vivo.

Le tue mani

Osservo le tue mani,
fedeli marionette
in vita vissuta,
e l’amarezza m’assale.

In un  romanzo mai scritto
come il tempo impose
ne leggo la trama
sulla pelle crespa.

Impronte profonde
impronte leggere
segni di carezze
e di duro lavoro,
a rimembrar sono
a mille a mille
le giornate mesti e inutili
nell’andamento della vita tua.

Nacquero delicate le tue mani
furono garbati e cortesi
e severe nella condanna
raccolte l’ho viste nella preghiera.

Or che è giunto l’imbrunir
delle stagioni,
rimane tanta malinconia
e un poco di sapere.

Cercatore di funghi

Con canestro e bastone
me ne vo  per solitarie selve
in cerca di funghi e ore quiete.

Un berretto di flanella
un paio di scarponi di vacchetta
per riparar la guazza.

Nella bisaccia un cantuccio
di pane con una mela
e fermarsi a una sorgente
per rasserenar la sete.

Allo scomparir del sole
un tappeto di frasche
in un castagno bugio
per riposar le membra.

Scordare il mondo
rimirar le stelle
in un cielo terso,
sentirmi depurato,
assaporare l’aria tersa 
per goder sereno
l’istanti fuggevoli della vita.

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