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Le mie scritture

domenica 10 aprile 2011

Storielle 19

Preambolo   
                                 La strada della vita “

Laggiù dove l’orizzonte  svanisce c’è un punto dove tutte le strade arrivano.
Fra tante ci sono quelle che sembrano veri rettilinei, che si congiungono ad altrettanti punti fermi, non ci sono svolte, parabole o cambiamenti di direzione.
Questi rettilinei si presentano come le scie lasciate dalle navi su un mare calmo, come le scie di aurei nei celi azzurri, sono gli spazi del movimento di sempre di un andare placido.

Non di rado nelle notti di plenilunio le rette dell’estremo, queste strade, si affiancano  come parallele che corrono veloci senza mai incontrarsi, ma con la possibilità di cozzare insieme in uno spazio chiuso, una piazza, una grande piazza dove le rettilinee strade sia parallele che separate si vanno a incastrare per poi oltrepassato l’ostacolo riprendono la loro retta via piana e levigata, su un mare fino al punto dove cielo e terra si incontrano.
La piazza, punto di incontro, sommità del disordine, caos di vie.
Poi con l’arrivo del giorno il caos della piazza si dissolve, si discioglie.
Noi ipocrite menti non ci diamo per vinte e allora guardiamo oltre l’orizzonte, rendiamo fisso lo sguardo nel punto per percepire la vita, desideriamo comunicare, toccare, testardi, ostinati.
Ma alla fine non resta altro che il rimpianto del passato, restano le nostre strade rettifili, piani, calmi, polverosi che corrono verso l’ostacolo di una piazza, ci sbattono, si ode allora un rumore, un boato , la fine .
Dopo, ciascuno per la sua strada….

La strada della vita

Tutto ha inizio quando una sera seduto sopra la pietra di granito fuori della porta di casa, dove sono nato, confuso nei sogni di ragazzo mi accorsi di quella strada che dovunque volgessi lo sguardo percorreva l’infinito.
La strada dei mie giochi, la strada della vita, la strada che c’è sempre stata, la strada che non mi aveva mai fatto pensare al domani, la strada che vedevo ma non sapevo dove portava.
Nei miei occhi cera la striscia bianca e impolverata fino al punto dove tutto finisce, dove il vento spazza la polvere e alza un muro dove si scontrava il mio sguardo.
A destra dove costeggiata da campi di granturco, le linee laterali erano intervallavate da cadenti salici, dall’orto di mia nonna, dalla capanna dove mio nonno teneva gli animali, vicino il colle si vedeva la casa di un contadino, oltre, il campanile di una chiesa.  
A sinistra repentina si inerpicava fra filari di pioppi,  poi i campetti a terrazza dei mie genitori,  che andavano a lambire le regnanti selve di castagno.
Tutto a corollario di un’infinta strada retta e irta  che diveniva scura nell’ incedere oltre le selve, dove la fantasia mi portava a raggiungere nel mio immaginario luoghi altissimi nel punto in cui il mondo era un altro mondo, dove il dolore non esisteva , il pianto era dolce, dove l’anima era la poesia del corpo, dove la vita non era il quotidiano ma l’essenza dei frutto dell’amore.
Fantasticavo sul  punto ... quel punto ... dove quella strada avrebbe incontrato la sommità della montagna, cosa ci sarà stato oltre, forse proseguiva verso il cielo, avrebbe incontrato le stelle.
Passavano i giorni e nella mia mente di ragazzo nasceva sempre di più il desiderio di scoprire quello che la retta strada mi aveva nascosto, seduto sulla solita pietra, punto privilegiato per un’ottima visione.
La mia fantasia vagheggiava, con lo sguardo calcolavo la distanza, il tempo di percorrenza tra il poggio e i filari della vigna, tra i campi coltivati e un punto oltre la capanna, cercavo di farmi una mappa, ma oltre dove non potevo vedere, cosa ci poteva essere?
Tutto questo mi spaventava.
Preso da un inspiegabile fremito decisi che dovevo intraprendere un viaggio verso queste mete a me sconosciute.
Venne così  l’alba dell’atteso giorno, di buon mattino mi svegliai e con quello strano disagio, colmo di felicità di ragazzo mi vestii, ripassando con la memoria il tratto di strada vicino alla casa che già conoscevo, ma oltre?
Mi lusingava il resto del tragitto che non conoscevo ma che nei giorni passati mi ero immaginato.
Dopo avevo messo due panini con il salame e una bottiglia d’acqua  nel piccolo zaino, me lo infilai sulle spalle e uscii di casa.
Al di fuori, sceso in strada non ebbi altro che l’imbarazzo della scelta su quale direzione dovevo prendere, a destra lungo la striscia bianca che spariva oltre il colle dove l’ultima cosa che si intravedeva era un campanile?
Oppure prendere sulla sinistra, oltrepassare i campetti a terrazza e inoltrarsi nei misteri della selva?
Dopo pochi indugi mi rivolsi verso ponente a sinistra, era tutta in salita, ma certamente più interessante.   
Sicuro di quello che facevo, ero confortato dall’idea che nella prima serata sarei tornato a casa, con la consapevolezza di chi aveva la certezza a cosa andava incontro e la strada che doveva fare.
L’aria del primo mattino era abbastanza fresca, cosi me ne andai per il mio destino con passo svelto, il viso infreddolito dalla tramontana ma con lo sguardo fisso e fiero verso la meta che mi ero prestabilito.
Andando sempre diritto per la mia strada, con il cuore felice per l’avventura , ogni tanto chiudevo gli occhi e continuavo a camminare, e puntualmente mi trovavo al margine della percorso con il pericolo di uscire di strada e cadere dal ciglio  nei campi sottostanti.
A quel punto visto che la strada era in salita ma diritta, decisi di camminare al centro di essa, anche perché ai lati si erano formati rigagnoli di terra smossa dagli zoccoli dei cavalli e dei muli che dalla mattina alla sera con il loro andirivieni transitavano per portare a valle le legna.
Lavoro ingrato ma non c’era altro modo, o almeno meno costoso per far si che la gente del mio paese si riscaldasse nei gelidi inverni.
Col passare del tempo ero cosi convinto di quello che facevo che anche se avessi richiuso gli occhi il mio cammino sarebbe continuato senza intoppi, camminavo agile e spedito nonostante la difficoltà della salita.
La direzione era quella giusta visto che la strada era come segnata  da una freccia che portava diritta a un solo punto.
Dopo qualche passo  il desiderio di chiudere gli occhi si riaffacciò forte e cosi feci , ma dopo pochi passi mi ritrovai dentro alla fossa
che delimita la strada per lo scolo dell’acqua piovana.
Ia delusione per la caduta non fu tanto per il dolore alla spalla per averla picchiata in terra, o al prurito che avevo alle gambe, e alle braccia per essere infilato nell’ortica, ma per essere finito fuori della direzione che credevo di proseguire.
Ma  il disappunto non durò molto, fino a che nella mia mente balenò il dubbio che la strada che avevo sempre visto da lontano non era una linea retta.
Quella rivelazione mi procurò in grosso dolore allo stomaco.
L’idea di arrivare a quel punto dove avevo sempre visto finire la strada mi sembrò in quel momento non più realizzabile.
Mi sedetti sul ciglio della strada e cercai di raccogliere le idee, cercai di farmi coraggio e convincermi che forse con un po’ più di dinamismo sarei arrivato lo stesso alla meta, forse il terreno faceva una leggera traiettoria curva, un po’ irregolare tutto sommato potevo vedere benissimo oltre la curva se mi fossi messo a camminare al lato opposto della carreggiata.
Mi rialzai capii che era stata una lezione, mi grattai il prurito dell’ortica, mi massaggiai  la spalla indolenzita ripresi il cammino al centro della strada,  col lo sguardo ancor più attento alle sfumature della strada pronto ad accorgermi in anticipo le curvature che la vita ci pone quotidianamente, e lasciando ai soli sguardi il punto che davanti a me vedevo sempre alla solita distanza.
Intanto la strada proseguiva  nel  folto della selva, all’improvviso un tornante, poi una curva, a gomito si inerpicavano su per il monte, da una parte una frana aveva ostruito mezza strada.
Fu come una mazzata fra capo e collo, frastornato vidi la mia retta strada tutta contorta e disegnata in un scarabocchio bizzarro.
Mai e poi mai avrei creduto che quello che da casa vedevo in lontananza diventasse un susseguirsi di sali e scendi, un continuo di curve e contro curve.
Smisurato, atroce, fu lo smarrimento che mi invase di fronte a quelle asperità che non immaginavo potessero esistere, anche se poco tempo dopo quelle impervie non erano nulla in confronto alle difficoltà che dovetti superare, oltrepassai il colle di un monte, e la strada in discesa la feci tutta a ruzzoloni fino a che non raggiunsi  la strada nel piano.
Incredulo ma un po’ rincuorato dalla speranza di proseguire dora in poi una strada in pianura, con passo abbastanza svelto mi inoltrai  per la mia via, ma il peggio doveva ancora venire, fatto poco tragitto mi ritrovai al cospetto di un ruscello che tagliava la strada in due, preso dallo sconforto ma deciso a proseguire il cammino fino al fatidico punto scesi nelle acque fresche e iniziai ad attraversare guardando nell’acqua cristallina nella speranza di vedere la sagoma e i contorni della strada che speravo di ritrovare dall’altra parte del ruscello.
Ma non fu così, mi ritrovai ben presto spaventato dall’acqua che aveva raggiunto il busto e abbagliato dal luccichio dei sassi che sotto venivano raggiunti dal sole facendoli risplendere.
Una confusione totale mi sopraggiunse e nella paura  andando un qua e la dentro il ruscello sospinto da una corrente che non mi ero accorto che cera, spinto dalla furia mi ritrovai sommerso dentro una pozza ma raccogliendo tutta la mia volontà riuscii a raggiungere l’altra sponda.
A quel punto ero arrivato a fine mattinata e il sole era già alto lassù sul monte, così per riposarmi un po’ mi misi a sedere sull’argine del ruscello, mi tolsi le scarpe, le maglie bagnate e mi riscaldai al sole, poi con cupidigia afferrai il panino dallo zaino e lo mangiai con avidità, poi non curante di quello che facevo presi l’altro panino e a differenza del primo iniziai a sminuzzare la mollica,  a morderla con attenzione, riflessioni per percepire ogni sfumatura di sapore, di profumo, di fragranza.
All’ombra di vecchi salici l’acqua mi lambiva gli affaticati piedi
e qualcosa o qualcuno mi invitava a rigettarmi in quel piccolo mare di gioia, e con un sussurro languido mi immersi nelle fresche acque.
Mi ritrovai nell’oblio assoluto con l’impressione di essere sulla solita via che avevo conosciuto, una via sinuosa, una via che iniziava di fronte a casa mia e chissà dove finiva.
Un percorso lungo e corto, largo e stretto, alto e basso, gelido e afoso, lesto e fiacco e tutto e niente
Ero felice e ne esultavo.
E stavo appagato, benessere che non avevo mai provato,
avevo capito era la giusta via.
Rimasi a sguazzare per tanto tempo felice e incredulo quando capii che era il momento di uscire per rimettermi in cammino, il sole era ancora caldo e riuscì ad asciugarmi, poi di mala voglia mi rivestii al completo e inforcato lo zaino raggiunsi la strada.
Da li iniziarono i problemi, le contraddizioni visto che era giunta l’ora di decidere se tornare a casa o proseguire verso l’ignoto punto, la scelta era difficile e nei mie panieri si combattevano desideri opposti.
Da un lato riprendere la via a ritroso voleva dire tornare a casa, ritrovare il tepore della famiglia, la certezza di un pasto sicuro, di un letto caldo, l’amore di mia madre, di mio padre.
Dall’altro lato si prospettava un entusiasmo nuovo, ma anche la preoccupazione di un domani, curve dopo curve, polvere e ancora polvere, strade sterrate e mulattiere.
Decidere ecco cosa dovevo fare, decidere, e alla svelta perché di li a poco sarebbe calata la notte, ripensai alla  strada che avevo fatto ripercorrendola tutta quanta, poi osservai il ruscello anche lui rettilineo come la strada che avevo sognato.
Capii in quell’istante che la vita ti offre poche opportunità cosi abbandonai la vecchia strada per percorrere la riva  del fiume,tanto ero convinto che più a monte l’avrei ritrovata.
Ricoperto dalla vegetazione proseguivo a ritroso il fiume quando all’improvviso sentii una voce, poi il silenzio, poi ultra voce dopo il silenzio, impaurito mi accasciai con i piedi nell’acqua ricoperto dall’erbe con in testa una grossa foglia rinsecchita.
Tesi l’orecchio per ascoltare, ma si udiva solo lo scroscio dell’acqua, e il fruscio del vento fra l’erba, aguzzai la vista
ma non vidi nulla.
Passarono secondi, forse minuti  e di nuovo le voci, un respiro affannoso, dei passi e ancora voci, dedussi che due persone forse tre si stavano dirigendo verso il mio nascondiglio.
Perché ho fatto tutto questo, mi domandai? Perché mi trovo qui?
A quel punto maledissi la mia presunzione, la malsana idea di quella camminata assurda, sentivo di essermi comportato come un ragazzino curioso, arrogante e insensato, fra me ripetevo, ha se fossi rimasto a casa!
Avevo intrapreso un cammino sbagliato, la peggiore delle direzioni, pensavo a quella strada rettilinea, ora maledetta, al tempo passato, stagione dopo stagione, anno dopo anno, che stupido!
Che idiota mi ripetevo, ma purtroppo era tardi.
Ecco i passi si avvicinano ancora… Mi hanno trovato…Mi stanno tutti intorno…Mi osservano.
Ho paura, qualcuno si china su di me…Una mano mi tocca, sentii le dita scivolarmi fra i capelli.
Riconosco il tocco è di mia madre, una voce familiare mi sfiorò le guance “tranquillo sono accanto a te “.


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