Un saluto

Metti un saluto

A te che leggi questo blog, di passaggio o con quotidianità, a te che credi o anche no, scrivi "un qualcosa" nei commenti, per esempio: il tuo nome o nickname, dove vivi, l'età, una frase, un saluto o quello che preferisci...

Esprimiti con un "messaggio"...

Un modo come un altro per interagire, per mandare un segnale, per dire "io ci sono"...

Il ringraziamento è anticipata Un saluto.

Foto

Foto
Le mie scritture

domenica 10 aprile 2011

Storielle 21


Un frizzante vento invernale spazzava l’incantevole valle della Garfagna.
Agitava l’erba ingiallita e sospingeva una fitta nebbia grigia dal fiume verso le selve.
La mattina era tranquilla, la luna pallida si attardava nel cielo opaco.
Il giovane Pietro era nato e vissuto su questi monti, padrone del silenzio, dei profumi e dell’armonia che solo questi luoghi ti sanno offrire, si soffermò ad ascoltare il soffio del vento.
Incurvò le spalle, sollevò il bavero della giubba consunta fino alla tesa del vecchio cappello, infilò le mani in tasca e riprese a camminare, gli occhi rivolti al cielo.
Su per sentieri scoscesi, aveva camminato per circa un’ora, quando percepì un fischio acuto ergersi dal vento.
Si bloccò di colpo e fissò dal pianoro la spessa coltre di nubi che si ammassava sopra la distesa di verde degli imponenti castagni.
All’improvviso una magnifica aquila reale comparve fendendo la nebbia e si librò sul vellutato verde con le ampie ali tese.
Maestosa dal becco acuminato, a uncino, adatto a lacerare la carne di cui cibarsi, artigli affilati e ricurvi, zampe forti per uccidere le prede, la vista penetrante.
Le aquile sono uccelli predatori molto grandi e forti.
Hanno ali ampie e piumaggio scuro, la loro struttura è straordinariamente forte e leggera, una meraviglia dell’evoluzione.
Il nonno vedendolo incuriosito e ammaliato da tanta bellezza gli raccontò che l’aquila è un uccello potente, lei non vola, nossignore.
Lei si libra nel vento, sfrutta le correnti con le sue gigantesche ali nere.
Non la vedrai mai oscillare o avere dei tentennamenti, le aquile saettano come frecce fin sulle nuvole.
Imperiose, superbe, altere le aquile possono spiegare le loro ali, catturare il vento e sollevarsi in alto, in tutta la loro gloria.
L’espressione che spesso sentirai “vista d’aquila” deriva dalla vista straordinariamente sviluppata del rapace.
Le penne non servono soltanto al volo, elegante e sicuro: gonfiandole questi uccelli si proteggono dal freddo dei picchi innevati, dove spesso s’inoltrano libere e sovrane e viceversa, appiattendole riescono a espellere il calore eccessivo del corpo.
Per la chiesa in tutto il Medioevo simboleggiò la resurrezione e specialmente l’ascensione spirituale della mente a Dio con la contemplazione.
Per questo motivo nei secoli sono state prese come simbolo di forza e di libertà.
Quando l’uomo guarda le aquile volare, brama giustizia, forza, verità.
Pietro rimase fermo a guardare il cielo fino a quando l’aquila scomparve.
Tutto intorno il silenzio tornò regnante assoluto.
La maggior parte dei rapaci vive in solitudine e cerca un compagno soltanto per nidificare e riprodursi.
Suo nonno gli aveva raccontato che un tempo quando attraversava queste selve, riusciva a vedere ogni tipo di rapace, l’Aquila, il Gheppio, il Falco, la Poiana,
Pietro aveva cinque anni, quando il vecchio aveva iniziato a condurlo con se per le selve, dopo una dura giornata di dura opra, l’uomo con la bastina (tipo di sacco che si mette sulle spalle per portare le legna) sotto braccio e il pennato ciondoloni alla cinghia si inoltrava col nipote sul ripido e stretto sentiero del bosco che conduceva alla selva dove si trovava un metato. (capanna)
Si fermava, indicava il cielo e chiedeva: Cos’è quella?
Pietro rispondeva spavaldo e non si sentiva mai rimproverato quando suo nonno, spesso, lo correggeva.
Quelle scorribande nelle selve erano state le più belle della sua vita e avevano acceso in lui l’inestinguibile amore per quei monti, per le eterne selve, per tutti gli animali, ma in particolare per i rapaci.
Suo nonno amava in particolare i falchi e gli aveva insegnato che riconoscere un falco in volo non era abilità, bensì un’arte, conoscenza, non bastava il colore del piumaggio come per gli altri uccelli.
Il loro volo è lento, ma possiedono una speciale abilità nel volteggiare, lasciandosi portare dal vento, anche durante la caccia.
Era un maestro abile e paziente e aveva insegnato a Pietro a prendersi tutto il tempo necessario a cogliere i dettegli più impercettibili, l’estremità di un’ala, la velocità della picchiata incontro alla preda, e a fidarsi dell’istinto.
Gli insegnò ad amare la natura, a rispettarla, ad amare gli uccelli e tutti gli animale padroni di quel paradiso colorato di verde.
Pietro era ancora un ragazzino quando il nonno passò a miglior vita, ma gli lasciò in eredità l’accortezza e la passione  che erano in grado di identificare con precisione un rapace, anche a grande distanza.
Passano gli anni, e quegli anni erano veramente duri, la miseria regnava incontrastata, i campi e il bosco non bastavano più a sfamare le famiglie a quel tempo numerose.
Il padre di Pietro per far fronte al bisogno della tavola spesso andava a caccia, e molte volte anche di frodo.
Una mattina d’inverno portò a caccia anche il figlio che quei boschi conosceva molto bene, perchè anche dopo la morte del nonno aveva continuato quelle scorribande di libertà per i monti e le selve alla ricerca dei suoi amici rapaci, quasi li conosceva uno ad uno, e anno dopo anno distingueva i piccoli nati l’anno prima e le loro mamme.
Quella mattina non sarebbe voluto andare a caccia con suo padre, ma l’amore e il rispetto che aveva per lui, anche se le vicissitudini della vita lo avevano reso duro e tormentato  lo convinsero a seguirlo.
Giunti sul pianoro delle Calde, il vecchio puntò il fucile verso il cartello di divieto di caccia imbullettato sulla ruvida corteccia di un castagno.
“ Non dovremmo cacciare qui “
“ E’ scritto lì, vedi? “ continuò cercando di far suonare le parole come una domanda e non come un’affermazione.
Suo padre strinse i pugni.
“Io non vedo nessun cartello” biasciò. 
“ Le guardie del parco dicono che avremo dei guai se ci trovano a cacciare in questi luoghi “
Il padre Camillo si voltò lentamente e con voce bassa ma dura “ Stai cercando di dirmi cosa devo fare ragazzo? “  
“ N…no “ balbettò Pietro.
“ E poi non siamo qui per divertimento ma per portare qualcosa in tavola.
Che ci provino quegli amanti degli alberi, a venire a dirmi quello che non posso farlo. “
Pietro annuì, senza smettere di fissare i pugni chiusi del padre.
Inerte guardò su padre strappare il cartello e lanciarlo lontano nel canalone, non ne poteva più di starlo a sentire mentre si lamentava.
Tutto quello che voleva era fuggire il più lontano possibile da quella situazione.
Soddisfatto il padre si incamminò verso i margini della radura.
“ Muoviti, andiamo e vedi di non restare indietro. “
La selva era ancora buia nell’umida quiete del primo mattino.
Nel silenzio lo scricchiolio degli scarponi di Pietro sulle foglie gelate che coprivano il terreno risuonava rimbombante.
I castagni erano cosi grossi e alti che era facile smarrirsi se non si conosceva la zona, Pietro aveva sempre amato i castagni.
Gli piaceva il rumore del vento che accarezzava le foglie e li trovava maestosi così alti e eretti,i sovrani delle selve.
Aveva sentito parlare di un’epoca in cui i castagni formavano boschi sterminati, gli sarebbe piaciuto vederli.
La luce iniziava a farsi strada fra i rami e i raggi del sole ritagliavano riquadri luminosi fra le fronde e si spingevano fino a terra facendo luccicare la brina ghiacciata.
Gli scoiattoli stridevano sui rami più alti e da qualche parte, nel folto del bosco un picchio beccava la corteccia di un tronco.
Pietro riavutosi da tale meraviglia allungò il passo e raggiunse la sagoma corpulenta del padre, dora in poi doveva fare assoluto silenzio e eseguire i cenni delle mani del padre, come un servitore ubbidiva all’esperto cacciatore, d’altronde erano li per uccidere qualche animale, la famiglia a casa attendeva.
Pietro si sforzò di seguire le orme del padre, proseguirono senza fortuna per tutta la mattinata.
“ Cosa dici? E’ meglio se torniamo indietro?” azzardò Pietro, esausto e con i piedi doloranti.
“Non torniamo finché non abbiamo preso qualcosa per cena.”
Finalmente raggiunsero un punto del bosco dove come per magia si apriva un’ampia zona ricoperta di prati e lo scorrere di un ruscello, quando all’improvviso il vecchio, bisbigliò” guarda, là”
“Dove?”
“Laggiù. Oltre il valico.”
Pietro si girò e vide un gigantesco uccello nero che si librava su larghe ali.
Era veramente bellissimo.
“Forza ragazzo spara.”
“Sbrigati che si allontana.”
Mentre sentiva il sangue rombargli nelle orecchie e l’eccitazione martellargli nelle tempie.
All’improvviso l’uccello emerse dalla nebbia, era enorme, Pietro accarezzò il grilletto, ma, imprecò.”Non posso sparare.
E’ un’aquila.”
“Chi se ne frega. Spara”
“Cosa? Non posso e non voglio”
“ Osi disubbidire a tuo padre?.”
Pietro fu incerto su cosa fare.
Poi tornò a guardare nel mirino e il dito sul grilletto, in quel preciso istante capì che qualunque cosa avesse fatto la sua vita sarebbe cambiata.
Camillo sorrise felice, guardando l’apertura alare dell’aquila che si lascia trasportare da una corrente d’aria calda, le ali forti e robuste il becco acuminato e gli artigli lunghi e affilati, e come se sapesse che era la regine del cielo, non c’era al mondo creatura più bella.
All’improvviso, la detonazione di uno sparo squarciò l’aria.
Il giovane aveva ubbidito al vecchio.
Impotente, vide con orrore le ali dell’aquila abbassarsi in modo non naturale contro un cielo grigiastro.
Poi l’uccello si immobilizzò per un istante, prima di abbandonare  le ali e precipitare sull’erba umida come un sasso.
Il grido angosciato del ragazzo si perse nel vento, che aveva preso a soffiare più forte sulle verdi selve.
Iniziò a correre a perdifiato attraverso i prati gelati e gli imponenti castagni squarciando il silenzio col pianto, e chiedendo perdono. 



Nessun commento:

Posta un commento