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Le mie scritture

sabato 9 aprile 2011

Poesie 28

Declino il tempo

Prati d’autunno sottomessi
da violenti temporali,
densi bagliori
nel crepuscolo del mattino.

Su ingialliti calanchi,
impenetrabili notti
sotto un’arcata di stelle,

La violenza del vento
trascina via il mio credo
per lidi lontani,
sul colle gli odori del freddo.

Giornate uggiose
trascorrono spedite,
nell’eco della pioggia
giungono confuse litanie.

Il vento del nord
si lamenta minaccioso 
arruffando le foglie
e sonni confusi

Giornate meste,
l’animo mio piange
acri rimpianti
come l’imminente inverno.

Insignificanti ricordi
in un tempo incolore.

Lasciami….

Giunta è l’or di notte
e triste è il tuo distacco,
ti porti via la mia allegria
tornerai domani con mani vuote.

Sciogli quei nodi
stretti alle caviglie,
evadi su i tuoi monti,
riposati alla frescura dei castagni,
mentre in cielo diademi luccicanti
adornano la notte.

Ti vorrei seguire
ma troppi inverni
sono ormai passati
troppi malanni
mi fanno compagnia.

Mi abbandoni,
ma lasciami la nostalgia
delle fresche primavere,
dei rintocchi della vecchia campana,
colmi di ricordi,
granelli d’amore
rotolati nell’anfora
di tanti giorni ormai perduti.

Mi dolgo

Mi dolgo
del mio destino,
di questa sera
che conduce al trapasso.

Mi dolgo
della sorte di ignoto poeta,
del mio destino da romita.

Mi dolgo
delle chimere bugiarde,
di musiche lievi,
di castelli incantati.

Mi dolgo
sull’inganno della mente,
di credermi poeta,
di una voce che confida in me.

Mi dolgo
perché vorrei stringerti stretta
mendicando un poco d’amore.

Mi dolgo
del mondo che impreca,
del violento spergiuro,
di un cuore che implora,
di una vita straziata,
di un bimbo che ha fame.

Mi dolgo
verso lacrime amare
e saluto la notte.

Questo vi offro

Fuggivo su soffici ali,
con la presunzione
di sedurre il mondo,
corrompevo il sole dei tramonti
la rugiada del mattino,
il sogno di una nuova alba,
fra le guglie delle mie montagne
con la scarsella colma di brillanti.

Sopra l’incudine della vita
infierisce il dolore
di infiniti errori,
nell’incavo della finestra
entra il silenzio scuro
e attendo che nasca il sole.

Sul mio lago di sogno
remo fra canne e giunchi,
fino al punto di luce
oltre il promontorio,
mi fanno compagnia
filari di pioppi.

Forte la volontà
di gettare l’ancora
dove l’acqua è più scura
tra pietre intrise di ricordi
immagini di  illusioni.

Lagnarsi non è da me,
quando tutto tacerà
vi offrirò il vuoto
di dimenticate poesie
ispirazioni dolorose.

No credo che la vecchia
voglia spargere il seme
del mio pensiero,
oltre  i confini
della mio giardino.

L’ultimo fiore

Oltre le pietraie
su rocce celate
da velli bianchi
volano i miei pensieri.

Mute poesie prive di lode,
di fiocchi che scendono capricciosi,
primitivo vento
e ancor novello,
che scomponi le frondose chiome
e semini i frutti della giovinezza,
fermati,
non abbattere quello che
di me rimane
impotenti sono i rami
alla tua violenza.

Angeli assonnati
conservate voi l’allegria sopita,
custodite le mie pazzie  
e poi la notte fatele cullare
dal pio venticello.

Seduto su quel  quieto gradino
osservo le gioie, i dolori, i pensieri
fuggire nel bagliore
di un nuovo giorno.

Rimango  con la speranza
di un a nuova primavera,
nel mio giardino
lei ha strappato l’ultimo fiore.

Le luci

Cala il sipario della sera,
oltre le quinte si sfaldano
sul  palco le ultime luci.

Il mio corpo sprofonda
su delicato velluto rosso,
stanco si dona
in un dolce abbandono.

Gironzola la mente
per prati aperti,
e vagabonda su umide sponde
come un tronco alla deriva,
sogno di un volto fanciullo
scordato sul greto del fiume.

Una misteriosa penombra
avvolge la sala
foresta è l’ombra ferita
nel patio vicina a  l’ingresso…

Sbronzo di lumi
si abbassa il sipario.

Meditazioni

Mi afferro a specchi di ghiaccio
con ali ricoperte
da cespugli di muschio
che non sanno
del calore del sole.

Solitario vago per pensieri erranti,
riposo all’ombra di assorti volti
senza parole e movenze.

Lassù dove nuance
di nubi vagabonde
arano il cielo per la sementa
di depresse speranze.

Prima che la notte
cancelli la mia ombra,
prima che il mio otre
si prosciughi,
prima che il mio canto si perda.

Io mi fermo  al margine della selva
allo sciogliersi delle nevi eterne
all’aria fredda dell’orrido
che allontana gli inganni,
le allucinazioni
del giorno.

L’Autunno

Col frusciar del vento
ora violento,
ora adagio, adagio,
dal fusto ormai malato
dai rami vedi volare
fronde morte.

Avverti fra le foglie un fremito,
un pianto,
respiri inquieti,
odi fra quelle fronde
un mormorio
come un lamento
d’anime malinconiche.

I ceppi  anneriti,
rinsecchiti,
alzano i rami mondi
come una preghiera al cielo.

Tavolozza della natura
l’autunno,
l’artista dai colori accesi
pittura le avvizzite foglie della vigna,
l’erba tenue del mio prato,
e su i rovi le coccole rubino.

Seduttore mesto e malinconico
dal colle confuso e fumoso
riconosci i tocchi ripetuti,
tristi,
squillanti,
che ricolmano la valle.

Che resta del passato

Seduto sopra cuscini colorati
ritrovai il pianto dell’illusione,
il muto piangere dei sentimenti,   
laddove assaporai  il tiepido
tepore delle stille di sole.

In silenzio rifiorirono gli errori,
strade illuminate,
misere emozioni
nella nostalgia di un amore
nell’immutato rigoglio di primavera.

Prose infinite che la brezza  riunì
e le disseminò sul prato dell’abbandono.

Rividi il pesco che sbocciava
laddove accoccolato restai
su uno strato di fiori rosa.

Parallele ombreggiate
da canuti pioppi,
brusco stormire di colombe
al tonfo di un ciocco morente,
sciabordio del fiume
primitivo e paziente,
le fiacche movenze
di un vecchio.

Solitario mi allontanai
per un viottolo sassoso,
sul colle fra pruni e frasche secche,
oltre la cima albeggiava di morte
un profumo di pace,
là trovai il sollievo,
nelle mani odorose d’affetto
nascondevo fiori rosa.

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